Il suo arrivo, dopo 14 anni di lontananza, in un nucleo famigliare che ormai era riuscito ha trovare da solo i propri equilibri, sta minando dalle fondamenta ogni certezza. E oltretutto Paolo, che ha solo 23 anni e che di fatto non frequenta più il padre da quando ne aveva 9 , si è trovato a doversi confrontare con un genitore che è per lui un estraneo. «Tra l’altro», dice al fratello, « ci sono sempre state cose che a me hanno dato fastidio: perché quando lui [nel 1992] ha detto di partire, [di tornare a Corleone] siamo dovuti partire a prescindere da tutti nostri cazzi di problemi e nessuno se ne è mai fatto un baffo? [E anche] questa volta [quando ]io sono arrivato [dal mio nuovo lavoro in Germania, era] il primo sabato [libero], va bene ? E siamo dovuti andare là, siamo andati a finire là [nel suo nascondiglio]. L’interesse suo non so quale sia. Io non vedo interesse in un colloquio, in un dialogo con lui: almeno personalmente con me non c’è mai stata una cosa del genere. […] Quando mi dovevo laureare [nel marzo del 2005] e dovevo far l’ultimo esame, non gliene è fottuto a nessuno se io potevo avere i miei problemi ed invece dovevo andare a fare la bella statuina da lui. Perché poi io vado a fare [solo quello ] da lui. Tu [Angelo] bene o male, sei sempre stato più coinvolto, ma io da lui ho sempre fatto la bella statuina, fin da piccolo». Il doloroso sfogo sul difficile rapporto con un padre latitante (nel vero senso della parola) va avanti per cinque minuti buoni. La cabina della moto nave si riempie di risentimenti, di recriminazioni, di frasi che forse il neolaureato, vorrebbe non aver mai pronunciato.

Poi il fratello maggiore lo interrompe: «Paolo, vuoi sapere come la penso? Lui nel posto dove si trova ci si è davvero trovato per caso»
«E io dovrei essere contento di una cosa del genere? Io devo essere contento che le cose succedano per caso? Io devo essere contento che ora si sta ricostituendo questa sorta di unione [familiare]… per caso! Anzi no, io lo chiamo caso e lui la chiama invece volontà di Dio […] e poi neanche te lo ammettono che è per caso, Angelo»
«No, assolutamente perché…»
«[Pensa di aver fatto per noi] tutte cose, lui. [Papà continua a ripetere] “ora ti racconto di quando [io e gli zii] eravamo piccoli”. [Dice] che suo padre gli dava le bastonate e che lui a nove anni se ne andava a vendere i [parola incomprensibile], e invece noialtri [abbiamo avuto tutto]. [Ma] quando ti [fa] la domanda: “Ti è mai mancato niente?” [si può] mai aspettare una risposta positiva? [Perché la fa] perché cerca sicurezza? […] Mi dispiace [dirlo, Angelo], mi dispiace».
Angelo non lo contraddice, ma invita riflettere. In famiglia, come in ogni famiglia, tutti hanno le loro colpe, le loro responsabilità. Ce l’ha Saveria, loro madre, «che ha subito tutte le decisioni, che non ha mai avuto il coraggio di dire “questa cosa mi piace, questa cosa non mi piace, facciamola così, facciamola colì». E ce le hanno anche loro, perché in casa Provenzano «hanno subito tutti». «Se poi», considera, «ci sono anche delle responsabilità personali questo è un discorso. [Lo possiamo] addossare al destino, alla volontà di Dio… [Ma] i dati di fatto sono che noi abbiamo subito tutta una serie di situazioni e le continuiamo a subire. Non ci si può ne ribellare né provare ad aggiustare la croce per portarla con comodo. [Io] non l’ho mai detto a nessuno, […] ma quanti si sono resi conto che la situazione che abbiamo vissuto noi è addirittura peggiore di avere un padre morto?»
Quante domande, quanti interrogativi senza risposta.
«[Stiamo vivendo] cose assurde, Angelo. O assurdo sono io. Boh, mi piacerebbe tanto saperlo certe volte. Mi piacerebbe veramente cominciare a capire la vita come va… e se continua così»
«Quando ci sveglieremo e lo avremo capito avremo settanta anni ciascuno, Paolo, e sarà troppo tardi»

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