Provenzano si sgranchisce le gambe: per essere un morto, a 73 anni gli pare di riuscire a muoversi ancora bene. Dà un’occhiata all’ultimo numero di Antimafia 2000, il mensile marchigiano interamente dedicato alle organizzazioni criminali. Stampata su una pagina vede la faccia triste di Nino Giuffrè, Manuzza, il suo ex amico, il compagno di tante battaglie ora pentito. Binu prende delle forbici. Ritaglia alcune lettere dell’alfabeto, come ha fatto centinaia di volte in passato quando si trattava di inviare lettere anonime di minacce o richieste d’estorsione. Una “T”, un “r”, una “A”: «Tradimento», è questa la parola che il Padrino incolla sulla foto di Manuzza.
Ormai può fare solo quello. Scrivere, riflettere, sognare qualche ultimo ricatto. Da quanti anni non impugna più un revolver? Le due pistole che porta sempre con sé vengono oliate, montate e smontate di continuo, ma farlo è diventato solo un passatempo, un modo per ricordare. A partire dal 1990 per lui hanno sempre sparato gli altri, gli «assenti» quelli che ora sono in carcere, i ragazzi, i suoi bravi ragazzi. Ma di loro non è rimasto più nessuno. Di quelli rimasti liberi non ci si può fidare: o vogliono prendere il suo posto o sono colletti bianchi, professionisti della mafia, gente che bada solo soldo e non sa cosa sia l’onore. No, questa Cosa Nostra, così non può camminare. La mafia senza sangue, senza l’odore della polvere da sparo, senza il pianto degli orfani e delle vedove, si sta trasformando esclusivamente in un comitato di affari.
Provenzano, nasconde trentamila euro in angolo, fascettati con una striscia di carta sulla quale qualcuno da qualche parte della Sicilia, ha scritto «Numero 1»: è la tranche di una tangente che spetta per diritto al capo dei capi. Numero 1: chissà se è ancora il numero uno. Forse è morto e non lo sa. Forse la mafia ha già un altro capo. Forse proprio questo voleva dire l’avvocato Traina seduto davanti a quel giornalista nel suo comodo studio della Capitale. E questi altri? Questi diecimila euro dove li mettiamo? Tra le mutande, nei calzini: potrebbe essere necessario muoversi all’improvviso. Meglio essere previdenti.
Anche gli uomini della squadra Duomo sono prudenti. Capiscono che in contrada Montagna dei cavalli c’è qualcosa d’importante: Binnu Riina, il vecchio amico dello Zio, altrimenti non andrebbe lì tutti i giorni. Le notizie raccolte dicono che nella zona non ci abita nessuno: le case sono più che altro delle masserie dove i corleonesi vanno in villeggiatura durante l’estate. Farsi vedere da quelle parti è perciò impensabile. Pastori, contadini, i rari passanti: tutti potrebbero essere delle vedette di Cosa nostra. L’intera area è però dominata da una cima, Montagna vecchia, un pascolo spoglio, circondato da pareti di roccia verticali. La visuale da lì perfetta, ma sul prato è impossibile mimetizzarsi.