Due fratelli in barca
No, da lì, da Corleone, per il momento proprio non se poteva andare. Lo Zio Binu lo sapeva e lo sapevano anche gli uomini della Duomo che il 28 settembre del 2005 ascoltano Angelo e Paolo Provenzano, mentre chiacchierano in una cabina della motonave La Suprema, il ferryboat che li porta a Genova. Paolo sta trasferendo tutte le sue cose in Germania e ha chiesto al fratello di guidare con lui un’auto piena zeppa di bagagli.
Il rumore della sala macchine è un cupo ronzio confuso, i due figli del boss stanno cenando. Sul tavolino pieghevole di formica c’è il cibo che Saveria, loro madre, ha preparato a casa. I ragazzi lo guardano e pensano che nelle ultime settimane le incomprensioni in famiglia sono aumentate. Le tensioni sono ormai evidenti: a zio Simone, il fratello di Binu che li ha allevati in Nord Reno Westfalia, è stato persino vietato di entrare in casa quando Saveria è sola. Ha fatto troppe domande che non doveva, anche sull’operazione alla prostata di suo fratello Bernardo, si è lasciato sfuggire molte parole di troppo. Ma il capo dei capi lo ha scoperto, si è inalberato e ha ordinato l’ostracismo nei suoi confronti.
«Lo zio Simone non si lamenta. Dice soltanto che ci sono delle cose mal riportate oppure che quello [Binu] è uscito folle. Altra soluzione non ne ha», spiega Paolo.
«E le cose che sono mal riportate [secondo lui] da dove vengono? [Intende dire] che gliele andiamo a riportare male noi altri? Giusto»
«O, la mamma, Angelo»
Dunque zu Binu, in quelle prime settimane di autunno, è ancora lì, vicinissimo a Corleone, tanto vicino che i suoi parenti lo vanno a trovare, discutono con lui, parlano di un’abitazione che deve essere lasciata in eredità, riaprono vecchie ferite, solo nascoste, ma mai del tutto rimarginate.