Lo si legge nel rapporto "Ufficialmente non esisti", che racconta 17 storie di persone detenute illegalmente per periodi varianti da diversi giorni a sette mesi, tagliate fuori dal mondo esterno e private di contatti con avvocati e familiari e di qualsiasi supervisione giudiziaria. Sul caso Regeni: "Dubbi sulla volontà del governo di fare luce"
Il Cairo, 30 settembre 2015. Ore tre del mattino. La signora Abdallah viene svegliata di soprassalto da violenti colpi alla porta. Sull’uscio si trova davanti 30 agenti delle forze di sicurezza. Vogliono suo figlio Mazen, 14 anni, studente. Lo portano via. Mazen rimane in carcere per 4 mesi. Gli agenti della Nsa (l’Agenzia per la sicurezza nazionale) lo torturano. E lo stuprano. E’ una delle storie raccontate nel rapporto di Amnesty International sulle sparizioni forzate in Egitto, dal titolo Ufficialmente non esisti. Quasi 12mila gli arresti nel 2015, secondo i numeri ufficiali del ministero dell’interno; 22mila fra il 2013 e il 2014. Ma alcuni gruppi per la difesa dei diritti umani hanno stimato in 60mila il numero dei detenuti politici a partire dal luglio del 2013. Altre centinaia di persone sono detenute dopo essere state condannate a morte. Non per nulla, fra il 2013 e il 2016 è stata disposta la costruzione di dieci nuove prigioni.
“Regeni, dubbi sulla volontà del Cairo di fare luce” – Una prassi comune, della quale punta dell’iceberg è al caso di Giulio Regeni, ricercatore di Fiumicello scomparso al Cairo il 25 gennaio e trovato cadavere il 3 febbraio lungo la strada che collega la capitale con Alessandria. “Amnesty International non dispone di informazioni a sufficienza per poter determinare se il rapimento e l’omicidio di Giulio Regeni siano stati perpetrati da forze di polizia egiziane, individui che si oppongono al governo egiziano, criminali o altri. Tuttavia, le circostanze della scomparsa e la corrispondenza tra le ferite riscontrate sul suo corpo e i metodi di tortura utilizzati di frequente dalle forze speciali in sede di interrogatorio indicano che sussiste un’effettiva possibilità che le forze di sicurezza egiziane siano coinvolte nella scomparsa, nella tortura e nell’omicidio del ragazzo”. Inoltre, secondo Amnesty, il fatto che le autorità egiziane neghino le sparizioni forzate e rifiutino di condurre inchieste indipendenti sulle numerosissime accuse di tortura, tutto ciò mette in discussione “la buona fede del governo e il suo impegno a voler determinare chi si celi dietro il rapimento, la tortura e l’omicidio di Regeni”.
Mazen, 14 anni: in carcere per 4 mesi, torturato e stuprato – Il rapporto documenta 17 storie di sparizioni forzate, in alcuni casi anche di minori: ne avvengono in media 3-4 al giorno secondo le organizzazioni locali. Come quella di Mazen Abdallah, studente di 14 anni del Cairo: prelevato da casa alle 3 di mattina da agenti armati e a volto coperto: “Dobbiamo portarlo in una stazione di polizia per interrogarlo, lo riportiamo a casa fra un paio d’ore”. Dopo otto giorni la famiglia lo rintraccia, per puro caso, grazie a un avvocato che lo aveva visto in prigione. Riescono a incontrarlo. Il ragazzino racconta di esser stato minacciato, torturato e stuprato. A nulla valgono le proteste della famiglia: Mazen viene detenuto per quattro mesi e rilasciato solo quando il suo caso esce dai confini dell’Egitto, a gennaio, dopo il caso Regeni. Rilasciato ma non prosciolto, ad oggi ancora in attesa di processo con l’accusa di incitamento e partecipazione a proteste illegali.
Nel mirino del Nsa i sostenitori di Morsi – Le ricerche condotte da Amnesty International mostrano che l’Nsa (l’Agenzia per la sicurezza nazionale) generalmente prende di mira presunti sostenitori dell’ex presidente Mohamed Morsi o della Fratellanza musulmana, compresi circa 3mila leader e membri della Fratellanza di livello alto e intermedio, la maggior parte dei quali di sesso maschile e di età fra i 50 e i 14 anni. Si tratta principalmente di studenti, accademici, attivisti, ingegneri, medici, operatori sanitari, critici pacifici e manifestanti, ma anche familiari di persone che vengono considerate ostili al governo. Nel rapporto sono vari i racconti di persone arrestate con familiari (un fratello, il padre) al solo scopo di indurre alla confessione.
Quasi il 90% di chi scompare alla fine viene processato attraverso il sistema di giustizia penale, in genere con l’accusa di aver violato la legge sulle manifestazioni, di aver partecipato a cortei non autorizzati o averne progettata la partecipazione, oppure di aver attaccato le forze dell’ordine. I periodi di sparizioni forzate vanno da quattro giorni fino a sette mesi e i detenuti sono trattenuti o in stazioni di polizia, o in campi delle Forze centrali di sicurezza (Fcs), oppure in uffici dell’Nsa, in spregio della legge egiziana, che vieta di trattenere gli arrestati in luoghi di detenzione non ufficiali poiché la magistratura non vi ha accesso e non può eseguire visite di controllo. L’unico modo per le famiglie di sapere dove siano i propri cari è quello di affidarsi a detenuti rilasciati a loro volta da uffici della Nsa e che possano dire chi era con loro.