Avere un reddito manifesto è in Italia quasi un marchio di infamia e mette il percettore nel mirino di uno Stato che si inventa continuamente modi più o meno fantasiosi e più o meno eticamente giustificabili per attingerne a piene mani. L’entità del reddito, sia da professione, lavoro dipendente o pensione è proporzionale non solo al carico fiscale ma anche all’astio che ingenera in parte dell’opinione pubblica e alla quantità di prelievi aggiuntivi che cercano di appiattire ulteriormente le retribuzioni.
Questi due fattori già di per sé configurano una illogica avversione verso quel circa 2% dei cittadini che da solo provvede circa il 33% di tutta l’Irpef e diventano una vera e propria ignominia se si considera il tessuto sul quale operano e cioè l’inattendibilità dei redditi, in presenza di evasione fiscale e contributiva endemica.
La situazione reddituale accertata è stata ben descritta da A. Brambilla e P. Novati sul Corriere della Sera dello scorso giugno; considerando alcuni indicatori quali il più alto possesso di automobili pro capite tra i grandi paesi europei, il più alto risparmio privato in Europa, uno tra i maggiori tassi di possesso di immobili, una tra le prime posizioni al mondo nel consumo di beni di lusso qualcosa non quadra. Che i redditi dichiarati non corrispondano in milioni di casi a quelli realmente percepiti è assai più che un sospetto è una nota certezza.
Purtroppo i governi fingono di non conoscere l’inattendibilità dell’accertamento dei redditi e usano questi dati surreali per colpire i malaugurati “trasparenti”, premiando in vari modi coloro che si sono resi opachi al fisco.
Gli esempi sono innumerevoli: i contribuenti che con le loro imposte pagano almeno la propria sanità sono circa il 36,5% del totale e di questi la maggioranza (20% del totale dei contribuenti) ci riesce a mala pena. Il restante 16,5% finanzia oltre alla propria anche quella di tutti gli altri cittadini e lo Stato impone loro anche i ticket, così quel 16,5% finanzia la propria sanità e quella degli altri e infine paga la sanità una terza volta attraverso i ticket. Non diversamente vengono trattate le tasse universitarie, riservate a chi ha redditi ragionevoli e accertati, cioè a coloro che con la loro contribuzione fiscale hanno già finanziato il sistema educativo. E si potrebbe continuare con le rette delle scuole materne, le mense scolastiche e via dicendo.
Ciliegina sulla torta, si parla ripetutamente di abolire o diminuire le detrazioni fiscali per i redditi più alti i quali in questo modo oltre a finanziare integralmente il sistema e a ripagare i servizi finirebbero per ripagarci anche le tasse. Roba da sentirsi più sicuri a essere governati da un Pirata dei Caraibi.
Nello stesso solco vanno i contributi di solidarietà sulle pensioni più alte, approvati dalla Corte Costituzionale; sono applicati sulla base dell’ammontare, senza alcuna analisi sui contributi versati da ciascuno e da essi sono esenti, oltre a coloro che hanno avuto difficoltà oggettive nella carriera lavorativa, anche coloro che hanno seraficamente evaso i contributi per una vita, preparandosi altrimenti e soggettivamente la propria vecchiaia.
Il contributo parve abominevole anche all’attuale presidente dell’Inps Tito Boeri che nel 2013 ne scrisse peste e corna su La Repubblica e che certo non si annovera tra coloro che difendono i privilegi retributivi.
D’altra parte, come nota Brambilla nella sua analisi, i pensionati colpiti sono circa 45.000 (per un gettito di effetto politico ma economicamente meno che marginale) e quindi elettoralmente ininfluenti; così come sono numericamente poco influenti quel 16% di contribuenti, pari all’8% dei cittadini, che tengono in piedi il paese attraverso l’erario, per cui: diamogli addosso tranquillamente omettendo di soffermarsi sull’idea che anche una maggioranza democratica può farsi dittatura se infierisce sulla minoranza impossibilitata a difendersi.
Qual’è però il possibile esito di questa situazione? Al netto di possibili interventi dall’esterno, quale per esempio la corte di Strasburgo nel caso delle pensioni, quasi certamente la scomparsa progressiva della minoranza che sostiene il tutto; scomparsa per naturale estinzione degli attuali vessati, senza futuro rimpiazzo, dato che i giovani che si ritengano meritevoli e capaci e che vedano lucidamente ciò che li aspetta non avranno alcuna ragione per restare in un Paese dove guadagnarsi onestamente un reddito alla luce del sole e accantonare contributi ingenti per la pensione è quasi un marchio di infamia e dove i meccanismi inventati fantasiosamente da politici non statisti fa convenire ogni giorno di più il nascondersi al fisco.
Per non parlar del dissennato progetto del “reddito di cittadinanza” che andrebbe ad accomunare i reali bisognosi con i tanti, tantissimi, “furbi”.
Con una certa amarezza e con la consapevolezza che ciò penalizzerà coloro che non potendo più emigrare dovranno assistere al crollo inesorabile, il consiglio che do ai miei figli e che mi sento di dare anche a tutti i loro coetanei che miei figli non sono è: se ritenete di essere creativi, volenterosi, attivi e quindi in futuro meritevoli, createvi le condizioni per andare a vivere altrove; se invece pensate di non esserlo, cercatevi un’assistenza o una lobby e rendetevi il più opachi possibile; qualcuno forse vi premierà per questo. Sempre finché resterà qualcuno da mungere.