È una costante tutta italiana: invocare l’errore umano ogni qual volta ci sia una tragedia che causa morti e feriti. L’errore umano tranquillizza, incanala la responsabilità verso una persona precisa, toglie colpa ai responsabili del sistema, fin nei vertici più alti. Contro l’errore umano poco si può fare, non c’è rimedio e non c’è cura, quindi si è liberi persino di non fare nulla dopo ciò che è avvenuto, se non sanzionare la persona che si ritiene responsabile. Sfugge a coloro che utilizzano questo logoro sintagma – lo ha fatto ad esempio la società che gestisce quel tratto, Ferrotranviaria – che l’errore umano c’è e ci sarà sempre, poiché gli uomini sono fallibili, ma proprio per questo ovunque si costruiscono sistemi meccanizzati che impediscono precisamente all’errore umano di causare una strage, come, ad esempio, il blocco automatico del treno nel caso il macchinista passi con il rosso.

Nel caso dello scontro avvenuto ieri invece non c’era nulla di automatizzato: al rischio rappresentato in parte dal binario unico – che avrebbe dovuto da tempo essere raddoppiato, i fondi c’erano, non è stato fatto – si è aggiunto il sistema obsoleto del “blocco telefonico“, che prevede – sembra davvero di stare nel Medioevo – che l’ok alla partenza dalla stazione venga dato tramite una serie di dispacci via telefono tra gli operatori di varie stazioni. Niente blocco elettrico, niente sensori capaci di controllare movimento, velocità e distanza tra le vetture. Migliaia e migliaia di persone affidate ogni giorno, in tutta Italia laddove esiste ancora questo tipo di sistema, alla capacità percettiva, in sé fallibile, di uomini designati al compito monotono, e quindi passibile di errore, di dare l’ok alla partenza.

E allora non è retorico pensare, per contrasto, ai milioni di euro spesi finora per l’Alta Velocità. La lotta di classe passa per i treni, ha scritto oggi il nostro giornale. Verissimo: perché non c’è nulla che meglio dia una fotografia dell’Italia a due velocità di treni Alta Velocità che sfrecciano con a bordo i loro salottini con quotidiani e champagne e i treni dei pendolari che, specie al Sud, marciano ancora su un binario unico, e spesso senza sistemi di controllo e bloccaggio automatici. D’altronde lo Stato dà sempre meno soldi alle Regioni, queste non investono, anche se aumentano i biglietti, e anche quando ci sono i soldi, finanziati dalla Ue, i lavori non partono o lo fanno con anni di ritardo: lavori che avrebbero salvato la vita alle persone che oggi non ci sono più, uomini, donne, bambini.

Fa bene Saviano a dire che muoversi al Sud è da avventurieri e fa male il governo a rispondergli polemicamente. Sarebbe invece giusto, oltre il silenzio e la partecipazione alle famiglie delle vittime, fare di questa strage un punto di non ritorno, un’occasione per fare il punto di quei buchi insicuri nella rete ferroviaria italiana e sollecitare le regioni a metterli in sicurezza entro una data che tale resti. Gioverebbe anche un’assunzione di colpa dei veri responsabili, ad esempio di quelli che nel caso di questa strage hanno ritardato i lavori per i quali i fondi erano disponibili. Come gioverebbe che nessuno parlasse a sproposito di “errore umano”. Questo, per favore, risparmiatecelo.

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