La cessione arriva dopo quella del 10% di Fineco e si inserisce nella strategia del nuovo ad Mustier per rafforzare il capitale. Il quotidiano finanziario nota che "In tempi normali non venderebbe a sconto una quota in un'attività "trofeo" nel suo mercato più grande, né raccoglierebbe capitale attraverso una sussidiaria", ma "questi non sono tempi normali"
Martedì Unicredit, nell’ambito della strategia di rafforzamento del capitale annunciata dal nuovo amministratore delegato Jean Pierre Mustier, ha venduto a investitori istituzionali il 10% del capitale della controllata polacca Bank Pekao per un corrispettivo di 749 milioni di euro. L’operazione è stata chiusa il giorno dopo la cessione della stessa quota di Fineco. Il prezzo di cessione incorpora, comunica l’istituto, uno sconto del 6% circa rispetto all’ultimo prezzo di chiusura di Pekao prima dell’annuncio e ha consentito un aumento pari a circa 12 punti base dell’indice Cet1 ratio del gruppo Unicredit. Che continuerà a detenere una partecipazione di controllo in Pekao: il 40,1% del capitale.
Secondo il Financial Times, che dedica un commento alla “ouverture a pieni polmoni” di Mustier, “in tempi normali una banca non venderebbe a sconto una quota in un’attività “trofeo” nel suo mercato più grande, né raccoglierebbe capitale attraverso una sussidiaria il cui core equity tier 1 ratio è già vicino al 20%. Ma questi non sono tempi normali. Il sentiment degli investitori nei confronti delle banche italiane sta toccando i picchi minimi dalla crisi dei debiti sovrani dell’Eurozona. Anche con il supporto delle istituzioni, Unicredit ha visto il prezzo delle sue azioni scendere del 60% quest’anno, rimanendo indietro del 20% rispetto all’indice settoriale Ftse Italia delle banche”. E “con non performing loan lordi che ammontano a 79 miliardi di euro, il 15% dei prestiti totali, la banca ha ancora bisogno di più capitale”, da raccogliere “o con altre vendite, o con un aumento, o entrambi”.
“La revisione di Mustier degli asset strategici dovrebbe includere le operazioni in Germania, Polonia e Turchia”, continua l’analisi. “Sarebbero benvenuti anche altri cambiamenti al board (il presidente, il vice e due vice presidenti sono lì, mediamente, ciascuno da quasi dieci anni, secondo Berenberg)”. “Il fai da te potrebbe non essere sufficiente – nota però il quotidiano finanziario -. Qualsiasi investimento nelle banche italiane ha un disclaimer su quanto non possono controllare, come le incertezze sul futuro di Matteo Renzi, che ha legato la sua eredità a un referendum costituzionale in autunno, e le discussioni con Bruxelles su come sia meglio ricapitalizzare il sistema bancario. Come unica banca italiana di importanza sistemica globale, per Unicredit sarebbe economicamente impensabile e politicamente impraticabile ristagnare, figuriamoci fallire. Nella tradizione dell’opera buffa la trama farsesca ha tipicamente un lieto fine. Anche se dopo il botto di ieri le azioni, a uno sconto del 70% sul valore contabile, hanno ancora un prezzo da tragedia“.