La Corte d’assise di Varese pubblica le motivazioni della sentenza relativa alla morte dell'operaio, avvenuta la mattina del 15 giugno del 2008 dopo essere stato nella caserma dei carabinieri di Varese. "Non ci fu omicidio preterintenzionale perché il fatto non sussiste"
I due carabinieri e i sei poliziotti imputati nel processo sono stati tutti assolti ad aprile. E ora, a tre mesi dalla sentenza, in 162 pagine i giudici della Corte d’assise di Varese motivano l’assoluzione degli uomini delle forze dell’ordine dall’accusa di omicidio preterintenzionale di Giuseppe Uva, l’operaio deceduto la mattina del 15 giugno del 2008 dopo essere stato nella caserma dei carabinieri di Varese. I giudici hanno evidenziato “l’insussistenza di atti diretti a percuotere o a ledere” oltre a sottolineare che non ci fu un omicidio preterintenzionale perché “il fatto non sussiste” in quanto le indagini burrascose sulla morte dell’uomo hanno evidenziato “l’insussistenza di atti diretti a percuotere o a ledere”.
Anche la procura, peraltro aveva chiesto l’assoluzione per gli imputati dopo anni di indagini che avevano portato a richieste di archiviazione respinte da parte del pm Agostino Abate (poi rimosso) a imputazioni coattive e a un dibattimento che si era concluso con un verdetto: tutti assolti. In relazione al caso dell’operaio gruista portato in caserma perché con un amico, entrambi ubriachi, stavano spostando delle transenne per strada, le percosse sono la condizione perché si configuri il reato, mentre “la perizia medico-legale e l’audizione dei consulenti tecnici di ufficio e delle parti – scrivono i giudici – consentono di escludere in maniera assoluta la sussistenza di qualsivoglia lesione che abbia determinato o contribuito a determinare il decesso di Giuseppe Uva“.
I famigliari di Uva avevano intrapreso una dura battaglia per la verità sostenendo che l’uomo era stato duramente picchiato in caserma, ma per i giudici nemmeno “il fattore stressogeno, da taluni dei consulenti ritenuto causale o concausale di uno stress psicofisico, non può essere attribuito alla condotta degli imputati”, i quali “non avevano la coscienza e la volontà di percuotere o di ledere Giuseppe Uva”. L’operaio, emerse dopo la morte, era affetto da una grave patologia cardiaca.
Assolti gli imputati anche dall’accusa di abbandono d’incapace: “Non risulta sufficientemente provata la sussistenza del delitto” perché “l’abbandono della persona incapace deve determinare uno stato di pericolo sia pure potenziale per l’incolumità del soggetto” mentre “Giuseppe Uva non versava in un pregresso stato di incapacità di provvedere a se stesso per malattia di mente o di corpo (tale non potendosi considerare lo stato di ubriachezza)” e “non è ravvisabile una posizione di garanzia degli imputati (non avevano questi ultimi obblighi di cura o di custodia) nel confronti di Giuseppe Uva“.