Prima era reato. Dopo il Jobs act, non più. Fino a un anno fa, gli ispettori del lavoro potevano obbligare le imprese colte in flagrante ad assumere i dipendenti sfruttati. Ora i lavoratori perdono semplicemente il posto. E le imprese rispettose delle regole hanno costi più alti e vanno fuori mercato. E’ il quadro dipinto dagli addetti ai lavori a 13 mesi dalla cancellazione del reato di somministrazione fraudolenta. Quello che si verifica quando le imprese creano società fasulle, in particolare cooperative, per affidare loro alcune attività e ridurre così gli esborsi sulla pelle dei lavoratori, con contratti capestro, stipendi ridotti, abusi negli orari. Un fenomeno che va a braccetto con il caporalato e che, non a caso, è evidente in modo particolare nel settore agroalimentare.

“Un anno fa, l’ispettore del lavoro interveniva per il ripristino immediato delle tutele del lavoratore: retribuzione, tempi di lavoro, contratto, inquadramento – spiega Pierluigi Rausei, docente di Diritto sanzionatorio del lavoro alla scuola di dottorato Adapt presso l’Università di Bergamo – Adesso, invece, ci sono solo sanzioni economiche. Che sono più aspre di prima, ma l’obbligo di assumere il dipendente non c’è più. Oggi lo Stato guadagna più soldi, ma il lavoratore perde il posto”.

Il reato, istituito dalla legge Biagi del 2003, si contestava di fronte a una somministrazione di lavoro “posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al lavoratore”. In sostanza, come spiega Rausei, si verificava quando “un’impresa affidava un’attività, svolta in proprio fino al giorno prima, a una società creata ad hoc, una finta cooperativa o una finta srl, per abbattere i costi riducendo le tutele dei lavoratori”. Nel 2015, secondo i dati del ministero del Lavoro, i rilievi ispettivi in materia di “esternalizzazioni fittizie”, tra le quali rientra anche la somministrazione fraudolenta, hanno coinvolto 9.620 lavoratori, il 16% in più rispetto all’anno precedente.

Il docente: “L’abolizione del reato ha fatto decadere i procedimenti sanzionatori in corso”

Ma il decreto attuativo del Jobs act sul riordino dei contratti, firmato da Matteo Renzi e dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti e entrato in vigore nel giugno 2015, ha spazzato via questo reato abrogandolo. “L’abolizione della somministrazione fraudolenta – aggiunge Rausei – ha determinato l’immediata decadenza dei procedimenti sanzionatori in corso”. L’opera cominciata con il Jobs act è poi stata compiuta con un decreto approvato nel gennaio del 2016, il numero 8. Con questo provvedimento, il governo ha inasprito le sanzioni, ma al tempo stesso ha esteso l’ambito della depenalizzazione. Prima, i trasgressori dovevano pagare un’ammenda pari a 50 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro. Da gennaio, la sanzione parte da 5mila euro e può arrivare fino a 50mila. Ma intanto le violazioni in materia di somministrazione sono scivolate dall’ambito penale a quello amministrativo. “Non costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda”, stabilisce il decreto.

“E’ il capitolo due rispetto al Jobs act – aggiunge Rausei – Se la riforma del lavoro ha abolito la somministrazione fraudolenta, il decreto ha depenalizzato tutti gli altri reati in materia di somministrazione, eccetto quelli che riguardano l’impiego di minorenni. Per il resto, i reati si sono trasformati in illeciti amministrativi che prevedono solo il pagamento di una sanzione pecuniaria“.

Sono i sindacati a raccontare le conseguenze pratiche della depenalizzazione. “L’abolizione del reato è stata un’ulteriore libertà di bypassare le norme concessa dal governo a caporali, false cooperative e committenti senza scrupoli – spiega Umberto Franciosi, segretario Flai Cgil Emilia Romagna – E così le imprese che rispettano le leggi di questa Repubblica, che hanno costi più alti, vanno fuori mercato“. Gli abusi della somministrazione, spiega il sindacalista, sono particolarmente diffusi nel settore agroalimentare: “Nel distretto della lavorazione delle carni in provincia di Modena non c’è grande marchio che non faccia ricorso a queste pratiche fraudolente. Ma dappertutto stanno germogliando false cooperative con lavoratori sottopagati, senza malattia, senza vincoli di orario: ci sono dipendenti che formalmente lavorano 20 ore a settimana, ma in realtà ne fanno anche 50″.

Esempi concreti? “Noi ci limitiamo a fare le segnalazioni di quelli che riteniamo casi di somministrazione fraudolenta, non conosciamo l’esito dei rilievi ispettivi – spiega Franciosi – Ma il caso più recente, che rappresenta la punta dell’iceberg di questo fenomeno, è la vertenza della Castelfrigo di Modena“. L’azienda in questione, attiva nel settore della macellazione della carne, è stata al centro di una vertenza che si è risolta con un accordo sindacale a febbraio. “Si trattava di circa 100 lavoratori inquadrati in due cooperative di dubbia legittimità – racconta il sindacalista – sottoposti a una serie di abusi su contratto, orari, stipendi”.

A febbraio, il deputato Pd Davide Baruffi aveva presentato un’interpellanza al governo sulla vicenda della Castelfrigo. Il sottosegretario al Lavoro Massimo Cassano, pur non riferendosi nello specifico all’azienda in questione, ha spiegato che nel distretto modenese delle carni “le verifiche hanno evidenziato, oltre all’applicazione di contratti collettivi nazionali differenti per i lavoratori delle società committenti e per quelli delle cooperative operanti in regime di appalto, anche fenomeni di interposizione di manodopera, omissioni contributive, registrazioni infedeli sul libro unico del lavoro e violazioni della normativa in materia di orario di lavoro“.

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