Loro non amano il loro paese perché invece di combattere scappano dalle guerre. Gli italiani non sono mai scappati!!!” oppure “Ma le nostre donne e i nostri bambini sono al sicuro?”. I residenti non la prendono bene, poco importa che i nuovi vicini di casa siano esseri umani in fuga. Le Querce di Mamre, la nuova casa di Bogolese (Parma) della San Cristoforo Onlus accoglie vite fuggite dall’inferno di una guerra o di una repressione (nella foto in evidenza un’immagine tratta dalla pagina Facebook della casa). Fa caldo a Bogolese, caldissimo, il rischio è che il pregiudizio locale renda l’estate più fredda del previsto e che l’ombra del giardino non sia un’oasi.

E’ giorno di festa, la casa che ospita i rifugiati apre le porte a tutti, si potrà svelare il motivo di tanto pregiudizio, scoprire quale covo terroristico nasconde, quali minacce inquietano le nostre notti. Forse prestanomi di bancarottieri o evasori totali o condannati in via definitiva il cui patrimonio non è pignorabile.

01

Un buffet, musica, invitati. Mi aggiro tra gli ospiti, chiedo il permesso di poterli disegnare, al volo, ritratti che non finiranno al Louvre, ma che scavalcano il mio pessimo inglese, le differenze di qualunque tipo, sorrisi che si allargano, la mia lingua franca, il disegno, il segno che tratteggia e allaccia momenti che non serve tradurre: “Benvenuti”.

03

Non tutti sono dell’idea di lasciarsi ritrarre, chiedo se posso, rispetto un rifiuto, mi sento indiscreto come chi entra senza bussare e che comunque, tra un paio d’ore, sarà di nuovo a casa, dalla propria famiglia, sicurezza quotidiana, troppo facile. Niente a che vedere con la vita che ha cacciato loro in un ginepraio di incertezza, fratelli in un viaggio maledetto che per migliaia ha avuto un titolo: “Morire di speranza” (conosci La vita ti sia lieve di Alessandra Ballerini?).

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L’argomento vale pochi voti, anzi ne sottrae alla politica che fa i conti nelle urne: l’Europa langue consapevole, lascia all’Italia il ruolo di vena aperta ai flussi e se l’esodo disperato scorre lungo la Penisola la burocrazia farà di queste persone randagi umani.

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Gli ospiti resteranno qui almeno un anno, questione di carte bollate e commissioni oberate. Quando saranno convocati a confermare la dichiarazione che hanno rilasciato all’arrivo negli hotspot, verrà dato loro un permesso o, molto più spesso, un diniego (che in italiano vuol dire dieci giorni di tempo per andartene, anche se paraplegico e senza un soldo). Così puoi far ricorso e i tempi s’allungano e i posti nelle case d’accoglienza non si liberano e quella vena che si chiama Italia si blocca. Se poi scopri Mafia Capitale non servirà tutto l’anticoagulante del mondo per far ripartire il flusso.

08

Gli operatori del San Cristoforo insegnano un mestiere, una lingua, a prendersi cura dell’orto, impegnano il tempo di Kevin, ​Z​oumana, Sylla, Gimy, Bambo, Toure, Modi, Tariq e gli altri, tutti ventenni. Don Umberto è felice, scrive un’altra pagina di Vangelo, va a spasso con il ritratto che ho improvvisato, saluta Alberto e Enrico di ManìnBlù (colonna sonora di questo lieto inizio), anche loro qui perchè contro ogni razzismo.

09

Una signora si scusa mentre ritraggo un ragazzo del Gambia, gli rivolge domande in inglese, vuole sapere del viaggio, si scusa ancora con me, continuerà dopo. E’ una residente del posto, è venuta con il figlio, è la stessa che aveva chiesto se “dobbiamo avere paura per i nostri figli?”. Qualcosa è cambiato, in meglio, almeno oggi, forse domani.

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