Sono quasi vent’anni che è in corso la guerra al fondamentalismo islamico. Mi sembra ormai chiaro che la battaglia non si vince con le bombe ma individuando le argomentazioni che possono contrastare un’ideologia radicale – di ideologia si tratta – che si nutre del malessere crescente di una parte della nostra società. Dobbiamo comprendere le motivazioni che spingono un giovane francese musulmano a trasformarsi in terrorista.
Se ci facciamo caso, la generazione degli attentatori, da quelli di Charlie Hebdo in poi, ha dai venti ai trent’anni di età. Hanno avuto tutti, chi più chi meno, problemi con la legge e usciti dal carcere avevano “riscoperto l’Islam”. La religione, interpretata alla loro maniera, è una redenzione da una vita che aveva condotto questi ragazzi al fallimento. In aggiunta a ciò, dobbiamo sommare la ghettizzazione alla quale la comunità islamica è sottoposta in Francia, fin dalle guerre coloniali in nord Africa, e che ha prodotto un malessere che è andato accentuandosi dall’11 settembre in poi. L’attrattiva dell’Isis sta tutta qui: nel malessere identitario di alcuni ragazzi appartenenti a una generazione di europei musulmani cresciuti con la guerra in Medioriente e spettatori del linciaggio mediatico al quale è stato sottoposto l’Islam in questi anni. La loro naturale empatia, in quanto hanno un legame identitario e emotivo, li rende partecipi dei mutamenti in atto nei paesi d’origine dei loro genitori. E’ il loro coinvolgimento nei contrasti in atto fra i due mondi simbolici e identitari, ai quali appartengono, a renderli soggetti che percepiscono più dei loro genitori lo scontro fra l’Europa – la loro Europa – e l’Islam – il loro Islam.
E’ da sciocchi continuare a pensare che paragonare l’Islam a una religione di terroristi, fare dibattiti in cui alla gogna mediatica viene messa un’intera comunità di fedeli, senza credere che ciò non produca effetti. Il risultato non può che essere il seguente: fornire ai fondamentalisti gli argomenti giusti per il proselitismo. Ma è un cane che si morde la coda perché man mano che il fondamentalismo trova adepti, dall’altra parte ci sono gli imprenditori della paura (alcuni politici e giornalisti) che lucrano in consenso elettorale attizzando il fuoco dell’odio. Così, si alimenta un circolo vizioso che incrementa il disagio: all’aumentare dell’islamofobia cresce di pari passo il fanatismo islamico. Da una parte e dall’altra, le voci moderate vengono messe in disparte, accusate di buonismo, e man mano isolate così da lasciare terreno libero solo agli intransigenti. A questi problemi, qualcuno continua a pensare che per fermare l’Isis basta bombardare la Siria o l’Iraq; rimettere in sella vecchie dittature colpevoli di crimini contro l’umanità, che rappresentano per qualcuno il male minore (perché Gheddafi ci dava stabilità – negli appalti petroliferi), non immaginando che è anche questo uno degli elementi usati dalla propaganda fondamentalista che dice: avete visto, è l’Occidente a imporre le dittature che tradiscono l’Islam, quello vero!
La vera battaglia è ideologica e la dobbiamo compiere prima di tutto nelle nostre società. La devono fare gli europei , tutti, di qualsiasi fede. La prima questione è smettere di rappresentare l’Islam come una religione retrograda; separare la responsabilità dei singoli da quella della comunità ( mi riferisco che in molti hanno detto che era colpa dei musulmani – in generale – e che tutti loro, uno a uno, in fila, dovevano condannare) e comprendere che il fondamentalismo nel mondo arabo- islamico è nato come risposta al malessere che le dittature hanno creato nelle società.
Oggi gli arabi non hanno bisogno di democrazia ma di libertà, quando questa ci sarà allora si taglieranno le gambe al radicalismo che nasce in Europa.
E’ altrettanto chiaro che serve un impegno delle comunità islamiche a vigilare affinché le guide religiose predichino per quello che l’Islam è: pace. C’è la necessità di rendere le moschee, quando le faranno in Italia, luoghi aperti al dibattito culturale e sociali, trasformandole in luoghi di aggregazione della comunità cittadina e non solo musulmana. Oggi più che mai, l’Islam europeo deve sconfiggere la paura dilagante parlando della sua storia, della convivenza possibile che c’è stata e continua ad esserci. Per fare questo servono guide religiose preparate e non Imam fai da te. Su questo ultimo punto serve un’alleanza fra l’Islam europeo, a volte privato di qualsiasi spiritualità, tradizione e relegato a religione di simboli, e l’Islam locale, in particolare levantino, che ha nei suoi 1400 anni gli anticorpi contro il fondamentalismo e che ha nella sua storia la convivialità con le altre fedi.
Se ci abbandoneremo alla paura non faremo altro che prestare il fianco agli imprenditori dell’odio che già oggi scalpitano mentre i corpi dei morti di Nizza non sono ancora stati seppelliti.