Le carte dell'inchiesta che ha portato alla richiesta d'arresto per il senatore Caridi e per altri quattro personaggi che, secondo l'accusa, costituivano l'interfaccia segreta dei clan con le istituzioni. Il loro ruolo nell'elezione di Scopelliti - perquisiti oggi il suo ufficio e l'abitazione - a sindaco di Reggio e le ambizioni nazionali ed europee. Grazie all'"enorme bacino di voti" gestito dalla criminalità. Pm: "Mutazione genetica" della mafia calabrese
“Senza di noi è inutile che ti metti”. È racchiusa tutta in queste poche parole il rapporto tra ‘ndrangheta e politica. Un rapporto diverso da quello emerso fino a oggi dalle varie indagini. Con l’operazione “Mamma Santissima”, il sostituto procuratore della Dda Giuseppe Lombardo ha fatto luce sulla struttura segreta di vertice della ‘ndrangheta, quel direttorio che crea i politici, li cresce per farli diventare strumento per le sue finalità economiche e politiche. L’operazione “Mamma santissima”, che ha portato alla richiesta di arresto per il senatore Antonio Caridi (Gal) sul quale si pronuncerà la Giunta per le autorizzazioni, rischia di riscrivere la storia delle cosche calabresi.
L’inchiesta è la naturale prosecuzione dell’operazione “Meta” che nel 2010 ha portato all’arresto dell’ala militare e imprenditoriale della ‘ndrangheta. Incrociando quelle carte con i verbali di alcuni pentiti, lasciati per troppi anni negli archivi della Procura, e i brogliacci di numerose intercettazioni, il pm Lombardo e il maggiore Leandro Piccoli sono riusciti a dimostrare l’esistenza di una struttura direttiva occulta di cui neanche gli affiliati alla ‘ndrangheta erano a conoscenza se non i vertici delle varie famiglie.
I destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare, firmata dal gip Domenico Santoro, infatti, sono i cosiddetti “invisibili”: l’avvocato Paolo Romeo (già in carcere da alcune settimane perché arresto nell’operazione “Fata Morgana”), l’avvocato Giorgio De Stefano (già detenuto perché coinvolto nell’operazione “Sistema Reggio”), l’ex dipendente della Regione Francesco Chirico (cognato del boss Orazio De Stefano), l’ex sottosegretario regionale Alberto Sarra e il senatore Antonio Caridi. Rappresentavano, secondo l’accusa, la struttura occulta che si serve di soggetti “segreti” o “riservati” e che opera in sinergia con l’organo collegiale di vertice denominato “Provincia”.
“Una sorta di mutazione della ‘ndrangheta – il gip riprende nell’ordinanza le considerazione del pm Lombardo – che, certo, resta realtà criminale, ma, proprio per rafforzarsi, per crescere, per aumentare la sua potenza, si evolve, tentando di creare prima e di sfruttare poi circuiti relazionali sempre più estesi e, correlativamente, sempre più riservati”.
I due burattinai erano sempre loro: Paolo Romeo e Giorgio De Stefano che già nel 2012 il colonnello Valerio Giardina aveva definito le vere “menti della ‘ndrangheta” a Reggio Calabria. Stando alle risultanze investigative del Ros, infatti, a partire dal 2002 Paolo Romeo e Giorgio De Stefano hanno avuto un ruolo determinante per la elezione di Giuseppe Scopelliti e Pietro Fuda rispettivamente a sindaco di Reggio e presidente della Provincia.
I due avvocati erano riusciti a interferire nella formazione degli organi di governo locale seguendo un progetto di più ampio respiro che puntava alla creazione di politici che poi sarebbero serviti per infiltrare la Regione Calabria ma anche il Parlamento nazionale ed europeo. Tra i momenti chiave di questo connubio tra politica e ‘ndrangheta ci sono le comunali del 2002 con l’elezione di Giuseppe Scopelliti (ex An ed ex Ncd) a sindaco di Reggio che, dimettendosi dall’incarico di assessore regionale, consentì ad Alberto Sarra (primo dei non eletti alle regionali del 2000) di approdare a Palazzo Campanella. L’abitazione e l’ufficio di Scopelliti sono stati perquisiti oggi dal Ros e del Reparto operativo di Reggio, ma gli investigatori non hanno voluto chiarire se il politico, ex presidente della Regione, sia indagato o meno.
L’affermazione elettorale di Scopelliti, sull’altro candidato Demetrio Naccari Carlizzi, secondo gli inquirenti “va ricondotta, oltre che alla maggiore controllabilità del primo (da parte degli “invisibili”, ndr), agli specifici interessi della criminalità mafiosa anche nei settori dei lavori pubblici in generale, nella gestione dei fondi del Decreto Reggio e nella creazione delle società miste, progetto questo avviato a partire dal 2001”. Ma se Giorgio De Stefano e Paolo Romeo hanno svolto un ruolo di “direzione e coordinamento” della struttura segreta della ‘ndrangheta, il senatore Caridi e l’ex sottosegretario regionale Alberto Sarra non sono da meno.
Per i pm, infatti, sono stati “strumenti, – al pari di altri – che avrebbero permesso ai due (De Stefano e Romeo) di divenire il motore immobile del sistema criminale oggetto di contestazione per riuscire a dirigere le istituzioni locali anche di rilievo costituzionale”. In particolare Alberto Sarra si è avvalso, per sé ed in favore di altri candidati, del sostegno elettorale delle principali cosche di Reggio e della Provincia, argomentano gli inquirenti. Ha, inoltre, agevolato e rafforzato il sistema criminale mafioso gestendo un enorme bacino di voti della ‘ndrangheta da orientare al fine di perfezionare, in proiezione, il programma di Paolo Romeo e Giorgio De Stefano.
Anche il senatore Caridi, stando alla carte dell’inchiesta, è stato appoggiato dalle famiglie mafiose tra cui i Pelle di San Luca con i quali si è incontrato in occasione delle elezioni Regionali del 2010. «Questo lo dovete avvicinare – è un’intercettazione registrata a casa del boss Giuseppe Pelle, oggi latitante – perché questo è un … un assessorato importante per le banche e per tutto! … omissis … l’attività produttiva viene qua a Reggio. A coso … Caridi … Questo qua dovete avvicinare …».
Durante le varie campagne elettorali, Caridi si faceva accompagnare da Francesco Chirico (il cognato del boss Paolo De Stefano) ed era “perfettamente consapevole del fatto che rivolgersi a lui per conseguire aiuto elettorale voleva dire rivolgersi alla ‘ndrangheta di Archi“.
“Il legame di Caridi con la cosca De Stefano, – scrivono i magistrati – aveva fatto sì che il politico venisse appoggiato elettoralmente dalla citata articolazione territoriale della ‘ndrangheta sin dalla prima volta in cui si era candidato”.
Aggiornato dalla redazione web