Società

Nizza, che orrore quei bagnanti del giorno dopo

A proposito delle (numerose) persone che prendevano il sole il giorno dopo l’attentato sulle spiagge di Nizza qualcuno ha scritto che si tratta della vittoria della quotidianità sull’orrore, che riprendere a vivere esattamente come prima è la vera risposta a chi tenta di mettere sotto scacco le nostre vite. Io penso esattamente il contrario: vedere quei corpi prendere il sole, come se nulla fosse accaduto, racconta in maniera evidente perché i nostri “valori” rischiano di essere perdenti di fronte allo schiacciante assolutismo che ci minaccia sempre più da vicino. Cosa esprimono infatti quei bagnanti incapaci di rinunciare a un giorno di mare, stesi a pochi metri da dove poche ore prima quasi cento persone hanno perso la vita? Indifferenza, relativismo, cinismo. L’attentato come un evento come un altro, qualcosa che non ci interessa nella misura in cui non ci ha sfiorato, e che dunque può essere accantonato nella memoria insieme ad eventi di tutt’altro peso. Di più: andare in spiaggia è anche un atto di arroganza e di onnipotenza, quella stupida di chi crede, accecato da un individualismo senza freni, che non sarà mai colpito, che le tragedie toccano solo gli altri.

Come possiamo pensare di essere equipaggiati per un futuro che richiederà attenzione, visione, sacrificio, se non siamo capaci di rinunciare a un giorno di mare – un edonismo sfrenato – la mattina dopo una strage? E come è possibile che sia scomparso ogni senso del sacro, quello che ci dovrebbe spingere, sia pure da laici, a tacere, piangere, pregare per quei morti e per le loro famiglie?

Ma la tesi secondo cui riprendere a vivere esattamente come prima sia la giusta risposta al terrore è sbagliata anche in un altro senso. Non si può riprendere a vivere esattamente come prima, farlo sarebbe da ciechi, peggio da pazzi. Ogni evento che accade deve modificare il nostro rapporto con la realtà, a maggior ragione se questo evento è una strage di civili che si aggiunge ad una lunga scia di eventi sanguinosi che dovrebbero allertarci, non assuefarci.

La nostra vita deve cambiare, sta già cambiando e lo farà sempre di più. Non si tratta di vivere nell’angoscia costante, ma nella consapevolezza che a noi è toccato in sorte questo destino, come ai nostri nonni la guerra: il terrorismo globale, che insieme all’arrivo dei migranti e alla crisi economica rappresenta una delle emergenze di questi anni. Non si può vivere ignorandolo, al contrario la crisi è tale che richiede azioni all’altezza. Pubbliche ma anche private: come decidere di non calpestare quei metri di suolo dove sono stati martoriati poche ore prima corpi di bambini e adulti per raggiungere la spiaggia e adagiarsi in un colpevole oblio.