Ho cantato con Daniel Oren e per una che è stonata come una campana non è cosa da poco. Beh, non ero la sola. Ma ero in pole position praticamente inginocchiata nella primissima fila (il mio posto era sui laterali). Reggia di Caserta, terzo atto del Nabucco, terzo e ultimo appuntamento di una strepitosa “Estate da re”, rassegna fortemente voluta dal governatore De Luca, costi quel che costi. Tripudio di applausi alla fine di Va pensiero… e il maestro che con un coupe de theatre, si gira e si rivolge alla gremitissima platea: Vi va di cantare con noi? E così, spalle all’orchestra e al coro, inizia a far volteggiare la banchetta, quasi magica. Credo che anche per Oren sia stata la prima volta a dirigere un coro improvvisato di 3.000 voci. E ce la siamo più o meno cavata. Io ero letteralmente sotto il palcoscenico, ho acceso l’Iphone e non mi sono persa neanche una nota, ho inciso ogni suo respiro, ho registrato ogni sua emozione.
Nel suo camerino mentre Oren ingurgitava una banana (il potassio dà energia), avevamo ancora l’adrenalina in circuito, mi sono complimentata: “Ha vinto la sua scommessa, maestro”. Il Nabucco in chiave pop-nazionale, prezzi da 5 a 20 euro, ha conquistato quel pubblico che solitamente guarda il Festival di Sanremo. Solo il prezzo era popolare, in scena tra artisti, coro, ballerini e orchestra oltre 500 figure: nulla, proprio nulla, da invidiare all’Arena di Verona.
Si cambia scenario, mi bendano gli occhi prima di lasciarmi entrare in quel gioiellino medioevale della chiesa di Donnaregina Vecchia. Inizia così il mio viaggio iniziatico nel labirinto sensoriale del Teatro dei Sensi Rosa Pristina, altro appuntamento site-specific del Teatro Napoli Festival. Tocco, annuso, ascolto e mi ascolto. E mi lascio guidare solo dai sensi.
Sette giorni, dico sette, dove è successo di tutto. Napoli sembrava di essere New York e Los Angeles, fuse insieme. Le star planetarie erano tutte qui. Dolce e Gabbana che sparavano coriandoli d’oro dai cannoni di Castel d’Ovo. Sophia Loren abbardata che sembrava scesa da un carro della Festa di Piedigrotta. Nell’anfiteatro di Pompei, David Gilmour, chitarrista cult dei Pink Floyd, ha ceduto il palco a Elton John. L’Arena Flegrea inaugurava la sua stagione con Pat Metheny, una selva di capelli che si agitava sulle note del contrabbasso di un’altra leggenda vivente, l’ottantenne Ron Carter.
Napoli, una grande “festa mobile”, come direbbe Hemingway. Un eco di idee e voci che da tutto il mondo hanno trovato forma al Napoli Teatro Festival. Il corpo di ballo del Bolshoj in collaborazione con il San Carlo per una travolgente Carmen Suite sulla celebre coreografia di Alberto Alonso, fondatore del Ballet Nacional de Cuba. L’ecclettico William Kentridge si mette in scena, in mutande, canottiera e stivaletto, con la sua arte “visionaria”, fatta di marionette e dialetti afrikaans, per denunciare le atrocità dell’apartheid. Mimmo Calopresti è perfetto nella parte del marito cornuto in “Madre di pietà” che laverà l’onta del tradimento con coltellate inferte sul corpo degli amanti.
Alla Prima dell’Aida al Teatro San Carlo, regia di Franco Dragone, direttore del Napoli Teatro Festival, tutto sold out. Un minuto di silenzio per la strage di Nizza, ma The show must go on. Opulenza visiva con pezzi di scenografia “sospesi”, insomma un colpo d’occhio alla Dragone che, tra l’altro, ha pure plasmato identità artistica de le Cirque du Soleil.
Anche per David Gilmour tutto esaurito e tutti in piedi (350 euro a cranio). Hanno invece avuto pietà e li hanno fatti sedere al concerto di Elton John.
Quella dei biglietti omaggio è sempre di difficile gestione. Una nutrita corte di omaggiati, assessori, parenti e amici, all’ultimo non si presentano e così 150 posti vip (forse di più non li ho contati, ma il colpo d’occhio era desolante) rimangono vergognosamente vuoti, mentre Gilmour attaccava con il primo pezzo. E quelli che hanno pagato il biglietto ma sono arrivati con leggero ritardo sbattono il muso contro i cancelli sbarrati.
Unico insuccesso della serata: il dopo concerto. Fortemente voluto da Vincenzo Russolillo (e chi sarà mai costui?), che è stato snobbato da Gilmour e dalla sua band. Attesi 400 super vip, se ne contavano a malapena un centinaio. Ma le bufale, nel senso di mozzarelline, erano una delizia. Per questo il governatore De Luca aveva tuonato: “Alla Reggia di Caserta biglietti omaggio per nessuno”. Ribadisce: “Nessun santo in paradiso”.
E per chiudere in bellezza anche quel fascinoso Jeremy Irons è passato di qui. Diretto a Ischia, dove ha ricevuto il Premio Visconti. Se l’è portato a zonzo insieme a Danny de Vito, per una visione a 360 gradi del golfo, a bordo del suo yacht, l’armatrice Annalaura di Luggo, che cattura con click d’autore pupille celebri. Mi manca il fiato per elencarle tutte.
@januariapiromal