Inizia oggi a Cleveland la convention per l'ufficializzazione del candidato Repubblicano alla Casa Bianca. Tutti i pezzi da novanta hanno già annunciato la loro assenza: non ci saranno Romney, McCain e Gregg e neppure nessuno con il cognome Bush. Aumentata la sicurezza in Ohio, Stato in cui vige l”Open Carry Law”: si può girare per strada con fucile a vista
Comincia la Convention più incredibile che si potesse immaginare (almeno qualche mese fa). Con un candidato che ha contro praticamente tutto il partito che dovrebbe rappresentare. Con un partito spaccato, incredulo, deflagrato per la candidatura dell’uomo che non avrebbe mai voluto. Con gruppi, gruppuscoli, movimenti, singoli che calano da ogni dove approfittando della copertura mediatica nei giorni della Convention repubblicana.
Benvenuti a Cleveland, Ohio, dove fino a giovedì prossimo politici, delegati, giornalisti, curiosi si affannano per capire, raccontare, assistere al fenomeno Donald Trump. Sono 50 mila le persone scese in questo ex-centro industriale sulle sponde del lago Erie. Per far sì che tutto funzioni e che scontri e tensioni non si trasferiscano dall’America a Cleveland, sono arrivati circa duemila poliziotti di rinforzo. E poi c’è la Guardia Nazionale, l’FBI, il secret service, tutti in strada a controllare le manifestazioni dei “Citizens for Trump”, i gruppi per la pace, i “Bikers for Trump”, i nazionalisti bianchi, la “Westboro Baptist Church” (quella che festeggia la morte di gay, ebrei e cattolici), i costituzionalisti radicali detti “Oath Keepers”.
D’altra parte Donald Trump è personaggio controverso, e controversi sono i gruppi arrivati a Cleveland per manifestare. Tra le tante questioni paradossali di questa Convention ce ne è del resto una che ha a che fare proprio con l’ordine pubblico. In Ohio vige l’”Open Carry Law”: la gente può andare in giro mostrando tranquillamente il fucile. Sono così previste manifestazioni e sit-in con gente prevedibilmente munita di armi da fuoco. Stephen Loomis, a capo del sindacato di polizia, ha chiesto di sospendere questo diritto costituzionale, in considerazione delle tensioni e delle pressioni cui sono sottoposti gli agenti. Il governatore dell’Ohio, John Kasich, gli ha risposto che non ha i poteri per sospendere la Costituzione.
L’aspetto forse più paradossale di questi giorni a Cleveland riguarda però la politica. La Convention dovrebbe essere l’esibizione di unità del partito; il momento in cui tutte le sue anime seppelliscono i rancori e trovano un terreno comune: in genere, battere l’avversario. Nel caso di Cleveland 2016 niente è sepolto; niente è superato. Il partito repubblicano è praticamente imploso. Donald J. Trump ha detto di aver scelto come suo vice Mike Pence, governatore dell’Indiana, proprio per ristabilire l’unità. In realtà, nella prima intervista televisiva che i due hanno dato insieme, a “60 Minutes” di CBS, le posizioni non sono mai apparse più incompatibili. Pence ha detto di non voler fare una campagna negativa, che insulta l’avversaria; Trump ha spiegato di voler continuare a chiamare Clinton “Hillary la corrotta”; Pence è a favore del TTIP; Trump ha spiegato che per lui I trattati di commercio “sono come uno stupro”; Trump è per mettere al bando i musulmani, Pence non pensa sia una buona idea.
Testimonianze emerse nelle ultime ore dicono che Trump abbia molto esitato a scegliere Pence, E che a un certo punto ci abbia ripensato e abbia chiamato Chris Christie, il governatore del New Jersey, per offrirgli il posto. Soltanto le insistenze dei figli e del suo manager, Paul Manafort, avrebbero riportato Trump sul nome di Pence. Per dissipare le voci di contrasti insanabili, Reince Priebus, chairman del partito repubblicano, ha spiegato: “A Donald Trump piace essere contraddetto. Non si vuole circondare di yes people”. Sarà peraltro difficile per Trump circondarsi a questa Convention di gente che gli dica di sì. Una serie di pezzi da novanta del partito hanno già detto che non saranno a Cleveland: non ci sarà nessuno con il cognome Bush, non ci sarà Mitt Romney, non ci sarà Joe McCain; Judd Gregg, governatore del New Hampshire, ha detto che resta a casa “perché lo vengono a trovare i nipotini”; Jeff Flake, senatore dell’Arizona, deve “tagliare l’erba del prato”; Steve Daines, senatore del Montana, andrà a pescare con la moglie.
In effetti è l’ala più moderata e istituzionale dei repubblicani a risultare la vera vittima sacrificale del ciclone populista rappresentato da Trump. Anche le altre anime del partito sono però in subbuglio. Gli uomini di Ted Cruz, guidati da Ken Cucinelli, vogliono cambiare le regole di selezione dei delegati per poter prevalere al prossimo giro di primarie. Un gruppo di irriducibili anti-Trump – si fanno chiamare i “Never Trump” – sta cercando di inscenare un clamoroso golpe per sottrarre al miliardario newyorkese la nomination. E’ praticamente scomparso il vecchio mondo repubblicano di analisti esperti in politica estera (un’area che Trump non ha mai davvero masticato). E i gruppi più vicini al mondo conservatore evangelico vogliono capire che cosa la nomina di Mike Pence significhi davvero.
In questo fuggi fuggi, in questa assenza di punti di riferimento tradizionale, non sorprende che il 20 per cento di chi parlerà alla Convention è in qualche modo legato da un legame di parentela con Donald Trump. E non sorprende che molti dei tradizionali finanziatori del partito abbiano preferito questa volta saltare il giro. Sepolto dai costi di questa Convention, il partito ha dovuto rivolgersi al miliardario di Las Vegas Sheldon Adelson, implorandolo di donare sei milioni di dollari per ripianare i debiti. Ma appunto, il passaggio del ciclone Trump cambia tutto. Strategie e politiche perseguite per decenni. Uomini. Modi di finanziamento.
Il partito repubblicano, attonito, aspetta a questo punto che il ciclone sia passato. Per capire se, dopo il diluvio, sarà rimasto in piedi ancora qualcosa.