Ricercatore associato dell'Ispi e docente alla Cattolica, Frappi vive stabilmente in Turchia ed era in zona Taksim quando "fischiavano le pallottole". Mentre il mondo (Usa, Nato, Ue...) ammonisce Erdogan, Frappi spiega che " sullo scacchiere internazionale poco cambierà, perché la Turchia resta lo snodo dei rapporti con i paesi dello scacchiere euro-asiatico con i quali le potenze tutte – dalla Ue agli Usa e fino alla Russia – faticano ad avere rapporti diretti. E’ il grande intermediario delle relazioni più complicate in questa parte del Mondo”. Il rischio vero? "Che gli interessi di Erdogan e del popolo non coincidano più"
Era lì quando “fischiavano le pallottole”. Carlo Frappi, ricercatore associato dell’Ispi (Istituto per gli Studi di politica internazionale) e docente alla Cattolica, in Turchia vive e lavora stabilmente studiando l’evoluzione sociopolitica del Paese. Uno dei pochi “esperti” che parla avendo visto e vissuto le cose. Era a casa quando tutto è successo. “Ero in zona Taksim, dove abito e dove si sono scontrati militari e polizia. Sono rimasto chiuso in casa, fuori l’eco degli spari”. E ora che il mondo (Usa, Nato, Ue…) ammonisce Erdogan, Frappi è convinto che “i rapporti con gli alleati storici della Turchia non subiranno particolari sconvolgimenti dalla vicenda del golpe fallito e dal conseguente rafforzamento dei poteri del presidente”. Sullo scacchiere internazionale – spiega a ilfattoquotidiano.it – la Turchia “era e resta lo snodo dei rapporti con i Paesi dello scacchiere euro-asiatico con i quali le potenze tutte – dalla Ue agli Usa e fino alla Russia – faticano ad avere rapporti diretti. E’ il grande intermediario delle relazioni più complicate in questa parte del Mondo”. Il rischio vero? “Che gli interessi di Erdogan e del popolo non coincidano più”.
Partiamo dal golpe, vero o presunto…
Se lo è stato, è stato mal congegnato e peggio ancora eseguito. Non solo è durato poche ore, ma dei golpisti che non si premurano di interrompere le comunicazioni sono quantomeno sprovveduti. E infatti sarà proprio attraverso le comunicazioni attraverso la rete e poi in tv che Erdogan ha fatto il suo appello al popolo rovesciando il golpe nella resistenza civile. In un golpe che si rispetti questo non succede. Certo, forse i golpisti hanno sottovalutato la situazione interna. Hanno pensato di portare dalla propria parte ampi settori dello Stato, a partire dai più alti gradi dell’esercito. Evidentemente avevano fatto male i loro conti.
Oggi il mondo intero guarda Erdogan come a un grosso problema, non capendo se dai fatti dell’altra notte esce un dittatore…
Sicuramente la sua leadership esce rafforzata dal golpe sventato, gli analisti sono concordi su questo. Ma per capire cosa è successo e che cosa potrà succedere in futuro dopo questi eventi bisogna distinguere i piani, quello interno da quello internazionale. Solo così si possono fare prefigurazioni.
Per la Turchia cosa ha rappresentato e può rappresentare quanto avvenuto?
Il Paese è attraversato da un forte conflitto sociale, una polarizzazione di cui il golpe è stato il punto più alto, più evidente e drammatico. Per Erdogan certo è stata l’occasione per eliminare il dissenso non solo politico, ma nel cuore delle istituzioni. E questo, al di là delle scelte sul destino dei rivoltosi, non potrà che aumentare la spaccatura del Paese. E il rischio massimo ritengo sia che alla fine gli interessi del presidente della Repubblica, che capitalizza la menzionata polarizzazione, non coincidano più con quelli della Turchia e del suo popolo. Questa è la grande incognita.
Intanto sale l’allarme per le conseguenze internazionali. Gli Usa, la Nato e la Ue danno segnali di irritazione, ammoniscono Erdogan in vario modo. Sembra sia in corso una mezza crisi dei rapporti internazionali tra alleati storici…
Su questo fronte, paradossalmente, mi aspetto le conseguenze minori. Mi spiego: la Turchia negli anni ha condotto una politica eterodossa rispetto agli alleati su dossier caldissimi che avevano ad oggetto Stati e attori dell’area Mediorientale a rischio isolamento. La Turchia ha svolto il ruolo di mediatore che instaura per i propri alleati il dialogo che non vogliono o possono avere direttamente, dall’Iran alla Siria pre-2011 e fino ad Hamas. Per gli alleati euro-atlantici ma anche per la Russia questa funzione resta strategica e primaria, e nessuno è disposto a rinunciarvi facilmente.
Quindi nessun rischio che aumenti la frattura con gli Usa e la Turchia orbiti più vicino alla Russia?
Non credo, non vedo questo rischio. Anche perché i due vettori non sono incompatibili tra loro. Certo, Erdogan usa una retorica anti-americana ma lo fa a fini interni. Scatena il suo “complottismo” per ottenere consenso da parte del popolo, convinto che un nemico da additare cementi coesione e fedeltà al governo.
Insomma per lei tutte le tensioni innescate fuori dai confini turchi da questa vicenda dovrebbero rientrare per realismo politico, perché la Turchia è essenziale ai partner euro-atlantici…
Sì, l’importanza della Turchia nello scacchiere euro-asitico viene spesso sottovalutata ma il suo ruolo è determinante negli equilibri tra questa parte del mondo e il resto. Non si può prescindere, la Turchia resterà lo snodo geografico e politico fondamentale per tutta la regione.
E se Erdogan usasse davvero il pugno duro, la pena di morte?
Ecco, quello sarebbe un punto di rottura inevitabile. Qui posso solo spendere un auspicio perché le competenze scientifiche non sono di aiuto. Sarebbe un passo falso, oltre a una tragedia, una mina piazzata dentro un campo già minato il cui effetto sarebbe detonatore su più fronti, a partire dall’ingresso nella Ue.
Tornerà presto a Istanbul, con quale spirito?
Purtroppo le mie “vacanze italiane” erano già organizzate e tornerò in Turchia a metà agosto. Non mi aspetto però di trovare una situazione radicalmente mutata o compromessa. Certo, per gli equilibri interni del Paese le prossime saranno settimane cruciali.