Toi, ma princesse de Julliet, toi qui dansais sur l’Esplanade…
E’ un brandello di memoria, completamente decontestualizzato: non potrei dire se appartiene a una canzone e a quale; non potrei dire dove e quando l’ho sentita per la prima volta; non potrei dire perché la ricordo, mentre tante altre cose sono state dimenticate. Quel che so è che da molti anni il 14 luglio mi evoca la visione di questa cittadina-principessa che è giovane, bella, amata ed è principessa non perché ha sangue blu nelle vene, ma perché è libera, uguale, capace di sentimenti di fraternità; e festeggia danzando l’anniversario della nascita della sua patria, la sua Repubblica, come lei libera uguale fraterna.
Certo, c’è il rischio di vedere in chiave idealizzata e sentimentale la storia di Francia. E’ un rischio che corro volentieri. Lo so, la ghigliottina non era una bella cosa e il colonialismo e l’imperialismo francesi hanno poco da invidiare a quelli inglesi. Ma so anche che senza i pensieri e i valori degli Illuministi francesi, senza la Rivoluzione, quella che così orgogliosamente chiamiamo cultura europea non sarebbe quella che è.
Il disastro peggiore che ci minaccia è proprio questo. Questo anno terribile di attentati e di morti, al di là dei cadaveri, del sangue sui marciapiedi, dei toccanti quanto vani tumuli di fiori, candele e bigliettini, al di là delle sfilate e dei cortei, delle parole d’ordine la cui vacuità si è subito manifestata di fronte all’attentato successivo, non ci ha regalato solo la paura: ci sta inoculando qualcosa di peggio.
La paura non è così dannosa, almeno finché non si trasforma in mera vigliaccheria, almeno finché resta in tensione con il suo contrario, il coraggio. Invece con le sue tecniche di imprevedibilità, di indiscriminato attacco a chiunque sia nel suo raggio d’azione, persino di apparente inutilità dal punto di vista militare delle stragi che compie, il terrorismo non genera una “ragionevole” paura. Genera terrore e panico, confusione mentale e istinto di fuga. Questo quando si è nel cuore della situazione di attentato; dopo, per chi è sopravvissuto, comincia una fase anch’essa tremenda. C’è il tentativo di tornare a una qualche forma “normale” di vita: ma cos’è la normalità di fronte a ottantacinque morti investiti da un tir? C’è il tentativo di “farsene una ragione” tentando di capire le ragioni degli attentatori: ma come capire le ragioni di coloro di cui non si sa quasi nulla? E anche se si riesce a sapere qualcosa di più (ma per lo più dettagli non molto significativi e ormai ripetitivi), è difficile dedurre da essi una qualche risposta alla domanda cruciale, che non è: “Perché lo hanno fatto?”, ma “Perché l’hanno fatto qui, a noi, a me?”. Poco a poco la paura, il panico si mescolano a una non meno angosciante situazione di incertezza: dove sarà il prossimo? Come sarà? Ma soprattutto: cosa posso fare, dove posso rifugiarmi, dove potrei mettermi al sicuro? Domanda inutile: non c’è protezione preventiva verso un pericolo di cui si sa così poco.
Eppure, una forma di conforto, di esorcizzazione del negativo della situazione, deve esserci per i sopravvissuti, che, non per modo di dire, corrono il rischio di impazzire. Un modo per dare sollievo alla propria angoscia è senza dubbio la costruzione di un capro espiatorio. Il primo che si individua è la polizia o i servizi segreti o entrambi, che non sanno fare il loro lavoro; il secondo è il governo che non sa far lavorare la polizia e i servizi segreti.
Infine, certo, gli immigrati, tutti gli immigrati, agenti camuffati dell’Isis. Ma poiché anche prendersela con i pubblici poteri o con gli stranieri non ci mette al riparo da nuovi possibili attentati, il percorso si conclude con il ripiegamento su se stessi, l’autoisolamento, l’adozione di uno stile di vita che evita l’incontro con gli altri, la frequentazione di luoghi pubblici, la partecipazione alla vita sociale; e che rifiuta e ignora volontariamente la comunanza di destini, la condivisione degli interessi. Ognuno per sé, non sono tempi per essere buoni, fidarsi, condividere.
Questo percorso che ho cercato di ricostruire, non è quello della totalità dei sopravvissuti, è invece di molti che sopravvissuti in senso tecnico non sono, perché non erano presenti fisicamente sul luogo dell’attentato: ma sono coinvolti politicamente, socialmente, culturalmente.
Quello che è importante sottolineare è che questo percorso allontana progressivamente i soggetti partecipanti da una visione razionale della vicenda, e da scelte ragionevoli.
Una domanda difficile ci attende: è possibile reagire razionalmente di fronte a un evento come la strage di Nizza? E quale sarebbe una reazione ragionevole? Non ragionevole per Angela Merkel o per François Hollande, ma per la signora Mariuccia Rossi da Cuneo, venuta a passare il week-end e a vedere i fuochi a Nizza con il marito, la figlia, il genero e la nipotina e che ora marito e nipotina non ce li ha più. Cos’è ragionevole per la signora Mariuccia?
Amalia Signorelli
Antropologa
Società - 18 Luglio 2016
Nizza, ragione e strage
Toi, ma princesse de Julliet, toi qui dansais sur l’Esplanade…
E’ un brandello di memoria, completamente decontestualizzato: non potrei dire se appartiene a una canzone e a quale; non potrei dire dove e quando l’ho sentita per la prima volta; non potrei dire perché la ricordo, mentre tante altre cose sono state dimenticate. Quel che so è che da molti anni il 14 luglio mi evoca la visione di questa cittadina-principessa che è giovane, bella, amata ed è principessa non perché ha sangue blu nelle vene, ma perché è libera, uguale, capace di sentimenti di fraternità; e festeggia danzando l’anniversario della nascita della sua patria, la sua Repubblica, come lei libera uguale fraterna.
Certo, c’è il rischio di vedere in chiave idealizzata e sentimentale la storia di Francia. E’ un rischio che corro volentieri. Lo so, la ghigliottina non era una bella cosa e il colonialismo e l’imperialismo francesi hanno poco da invidiare a quelli inglesi. Ma so anche che senza i pensieri e i valori degli Illuministi francesi, senza la Rivoluzione, quella che così orgogliosamente chiamiamo cultura europea non sarebbe quella che è.
Il disastro peggiore che ci minaccia è proprio questo. Questo anno terribile di attentati e di morti, al di là dei cadaveri, del sangue sui marciapiedi, dei toccanti quanto vani tumuli di fiori, candele e bigliettini, al di là delle sfilate e dei cortei, delle parole d’ordine la cui vacuità si è subito manifestata di fronte all’attentato successivo, non ci ha regalato solo la paura: ci sta inoculando qualcosa di peggio.
La paura non è così dannosa, almeno finché non si trasforma in mera vigliaccheria, almeno finché resta in tensione con il suo contrario, il coraggio. Invece con le sue tecniche di imprevedibilità, di indiscriminato attacco a chiunque sia nel suo raggio d’azione, persino di apparente inutilità dal punto di vista militare delle stragi che compie, il terrorismo non genera una “ragionevole” paura. Genera terrore e panico, confusione mentale e istinto di fuga. Questo quando si è nel cuore della situazione di attentato; dopo, per chi è sopravvissuto, comincia una fase anch’essa tremenda. C’è il tentativo di tornare a una qualche forma “normale” di vita: ma cos’è la normalità di fronte a ottantacinque morti investiti da un tir? C’è il tentativo di “farsene una ragione” tentando di capire le ragioni degli attentatori: ma come capire le ragioni di coloro di cui non si sa quasi nulla? E anche se si riesce a sapere qualcosa di più (ma per lo più dettagli non molto significativi e ormai ripetitivi), è difficile dedurre da essi una qualche risposta alla domanda cruciale, che non è: “Perché lo hanno fatto?”, ma “Perché l’hanno fatto qui, a noi, a me?”. Poco a poco la paura, il panico si mescolano a una non meno angosciante situazione di incertezza: dove sarà il prossimo? Come sarà? Ma soprattutto: cosa posso fare, dove posso rifugiarmi, dove potrei mettermi al sicuro? Domanda inutile: non c’è protezione preventiva verso un pericolo di cui si sa così poco.
Eppure, una forma di conforto, di esorcizzazione del negativo della situazione, deve esserci per i sopravvissuti, che, non per modo di dire, corrono il rischio di impazzire. Un modo per dare sollievo alla propria angoscia è senza dubbio la costruzione di un capro espiatorio. Il primo che si individua è la polizia o i servizi segreti o entrambi, che non sanno fare il loro lavoro; il secondo è il governo che non sa far lavorare la polizia e i servizi segreti.
Infine, certo, gli immigrati, tutti gli immigrati, agenti camuffati dell’Isis. Ma poiché anche prendersela con i pubblici poteri o con gli stranieri non ci mette al riparo da nuovi possibili attentati, il percorso si conclude con il ripiegamento su se stessi, l’autoisolamento, l’adozione di uno stile di vita che evita l’incontro con gli altri, la frequentazione di luoghi pubblici, la partecipazione alla vita sociale; e che rifiuta e ignora volontariamente la comunanza di destini, la condivisione degli interessi. Ognuno per sé, non sono tempi per essere buoni, fidarsi, condividere.
Questo percorso che ho cercato di ricostruire, non è quello della totalità dei sopravvissuti, è invece di molti che sopravvissuti in senso tecnico non sono, perché non erano presenti fisicamente sul luogo dell’attentato: ma sono coinvolti politicamente, socialmente, culturalmente.
Quello che è importante sottolineare è che questo percorso allontana progressivamente i soggetti partecipanti da una visione razionale della vicenda, e da scelte ragionevoli.
Una domanda difficile ci attende: è possibile reagire razionalmente di fronte a un evento come la strage di Nizza? E quale sarebbe una reazione ragionevole? Non ragionevole per Angela Merkel o per François Hollande, ma per la signora Mariuccia Rossi da Cuneo, venuta a passare il week-end e a vedere i fuochi a Nizza con il marito, la figlia, il genero e la nipotina e che ora marito e nipotina non ce li ha più. Cos’è ragionevole per la signora Mariuccia?
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Roma, 8 gen. (Adnkronos Salute) - L'ultima follia no-vax che circola sui social è 'ripulire' il corpo dai vaccini con una soluzione minerale miracolosa o soluzione di biossido di cloro, che - secondo alcuni pseudo esperti - sarebbe in grado di trattare numerose malattie fra cui Hiv, tubercolosi, malaria, epatite, cancro, autismo, Dengue e Chikungunya. Ma soprattutto di 'purificare' il corpo di chi ha fatto il vaccino anti-Covid.
"Siamo ormai al delirio e alla follia pura da parte del mondo no-vax - scrive su X l'infettivologo Matteo Bassetti -. Questo è quello che consigliano per purificarsi. 'bevendo 1 litro di acqua al giorno con 10 ml di biossido di Cloro, diossido di Cloro o Cds farete un gran piacere al vostro corpo. Con la sua formula sperimentata andrà a pulire/ossigenare tutte le nostre cellule singolarmente. Ideale per chi si è iniettato il siero genico sperimentale: 'neutralizza la proteina Spike e non ha controindicazioni'. C’è gente che ha avuto danni permanenti per averlo bevuto. Il ciarlatanesimo dei no-vax ha davvero toccato il fondo".
Di questa bufala se ne era occupato anche il ministero della Salute con un circolare del 2019, quindi prima della pandemia Covid, "gli effetti segnalati più frequentemente consistono in vomito e diarrea persistenti, che talvolta portano a disidratazione, dolori addominali e dolori brucianti alla gola" se si beve la soluzione a base di biossido di cloro. "Inoltre, c’è stata una segnalazione di metaemoglobinemia e anuria, due segnalazioni di anemia emolitica e una segnalazione di linfadenite istiolitica necrotizzante probabilmente associate con l’uso della soluzione miracolosa - si legge nella circolare -. Non in tutti i casi era conosciuta la dose di soluzione assunta, tuttavia un caso di anemia emolitica era associato all’assunzione di 15 gocce di soluzione. I media hanno riportato un decesso associato all’uso del prodotto, tuttavia quest’informazione non è stata confermata".
Roma, 8 gen. (Adnkronos) - "Cecilia Sala è libera. Una grande gioia e un ringraziamento al Governo e a tutti coloro che si sono adoperati per questo risultato". Lo scrive sui social Paolo Gentiloni.
Washington, 8 gen. (Adnkronos) - Il Comando centrale degli Stati Uniti (Centcom) ha annunciato di aver effettuato attacchi di precisione contro i depositi sotterranei di armi convenzionali avanzate degli Houthi nello Yemen. Il Centcom ha affermato che gli Houthi hanno utilizzato le strutture per condurre attacchi contro navi della Marina statunitense e navi mercantili nel Mar Rosso meridionale e nel Golfo di Aden.
"Gli attacchi rientrano negli sforzi del Centcom per smorzare i tentativi degli Houthi, sostenuti dall'Iran, di minacciare i partner regionali e le navi militari e mercantili nella regione", si legge nella dichiarazione.