Non a molti sarà capitato di vedersi tutta la trentina di episodi di The 100 destinati agli abbonati a Netflix. Noi ce li siamo visti tutti, quasi di seguito (tre o quattro al giorno) e siamo ancora qui a chiederci come abbiamo potuto sorbirceli. Ma in effetti la risposta la sappiamo: è merito o colpa della mediocrità abilmente organizzata di un’opera furbescamente citazionista. The 100 somiglia a quei veicoli assemblati con rottami vari che abbiamo conosciuto in Mad Max. Siamo nella Terra post nucleare (o comunque riplasmata da una qualche catastrofe ambientale) nella quale vengono spediti, manco fossero il corvo di Noè, 100 ragazzi turbolenti che costituivano altrettanti problemi per la stazione orbitante che da 97 anni teneva in orbita i discendenti da alcune migliaia di scampati alle esplosioni e alle conseguenti radiazioni.
Finiti sulla terra, scatta per i ragazzi l’effetto Isola Misteriosa, oppure Lost, fate voi (perché ovviamente il pianeta si rivela molto pandoriano e tutt’altro che deserto) insieme con forti dosi da Il signore delle mosche, il film dove eterei e compiti adolescenti naufragati su un’isola senza adulti superstiti, devono cavarsela e per prima cosa scoprono l’homo homini lupus di hobbesiana memoria, con la legge del più forte, il fine che giustifica i mezzi eccetera eccetera. Da lì avventure a non finire che non stiamo a raccontare per non togliere il gusto a chi vorrà condividere il nostro destino. Ma, questo possiamo dirlo, sono tutte avventure piuttosto loffie, piene di “miracoli” camuffati da strabilianti performance tecnologiche o gladiatorie di questo o quell’adolescente come se si fosse ad Amici di Maria De Filippi (“Devi farcela”; “Ce la posso fare” e se non si arriva al dammi un cinque è perché, dopo una guerra termonucleare, il troppo e troppo) con lunghe tirate dedicate alla solitudine del capo, alla dura lex sed lex eccetera…
Come mai, allora, non abbiamo lasciato The 100 a se stessi? La risposta sta in una parola: tempo. Con The 100 infatti non fai in tempo ad accennare lo sbadiglio che quei diavoli degli sceneggiatori, manco ti leggessero nella mente e nel diaframma, troncano la scena e saltano su una delle tante storie parallele che caratterizzano la serialità televisiva. E via così, sempre prendendo in contropiede la noia che sta per assalirti. Sicché scatta il sollievo per la noia incompiuta e vieni preso dalla ovvia curiosità per la trovata che viene appresso. Una specie di effetto ciliegia, dove però la cosa che segue non è tirata da quella che precede, ma offre l’occasione di sfuggirla. Esattamente come funzionano le telenovelas che, come Il Segreto, mischiano sentimentalismo e avventurosità. Finora, ce ne rendiamo conto, solo la circostanza di non trovarla sul video on demand e di non potercene abbuffare ci ha evitato di correre appresso a Pepa e a quella lenza della figlia. Ma nessuno è immune e poteva capitare anche a noi, con Puente Viejo al posto della Terra mostrizzata.