La Pokémon-mania collettiva si è fermata fuori dalla Grande Muraglia. Mentre l’applicazione spopola nel mondo occidentale candidandosi prepotentemente a fenomeno globale dell’estate 2016, in Cina il primo gioco per smartphone a realtà aumentata, al momento, non è di semplice fruizione per le centinaia di milioni di utenti mobile locali. La dinamica di Pokémon Go, sviluppato da Nintendo in partnership con Google, ormai la conosciamo: si scarica l’app, si accede con account Google e si va a caccia di mostricciattoli nel mondo reale, catturandoli con le Pokéball virtuali.
Questi semplici passaggi in Cina sono ostacolati dalle peculiarità del Great Chinese Firewall (Gcf), il sistema di filtri che di fatto isola la rete cinese dal resto del mondo creato una gigantesca intranet gestita da Pechino. Negli app store cinesi Pokémon Go non è stata ancora distribuita – e dubitiamo lo sarà mai – ma alcuni appassionati, riporta il Los Angeles Times, non si sono dati per vinti, mettendo in atto la sequenza di operazioni «standard» che chi vuole accedere alla rete «libera» in Cina ormai conosce a menadito.
Prima si scarica il gioco da siti appositi che distribuiscono app di terze parti (oppure si acquista una Google Id straniera per accedere agli app store fuori dalla Cina: su Taobao, l’eBay cinese, se ne vendono di australiane per 30 centesimi); poi si accede alla rete tramite Vpn, aggirando così i filtri del Gcf, impostando la localizzazione del proprio telefono in un punto al di fuori della Repubblica popolare cinese. A questo punto Pokémon Go “funziona”, mostrando in sovrimpressione nell’immagine ripresa dalla telecamera gli animaletti da catturare. Piccolo dettaglio: la mappa non sarà quella della città cinese dove si sta effettivamente camminando, ma quella della località che segna lo smartphone. In parole povere: si può andare a caccia di Pokémon passeggiando per Pechino, ma allo smartphone – e soprattutto al Gcf – sembrerà di starlo facendo per San Francisco, o Berlino, o Londra, o Gallarate…
La sovrapposizione di reale e virtuale, inedita nel panorama dei videogiochi di massa fino all’arrivo di Pokémon Go, in Cina ha stuzzicato una serie di teorie del complotto che descrivono la app di Nintendo – giapponese! – come il Cavallo di Troia virtuale dell’occidente usato per bucare le difese del resto del mondo. La tesi è questa: se un Pokémon compare in una certa località e non viene catturato da nessuno, chi detiene i dati personali degli utenti di Pokémon Go (cioè Nintendo, Giappone, e Google, Stati Uniti) potrebbe scoprire le coordinate precise di posti dove gli utenti di Pokémon Go, nel mondo reale, non sono riusciti ad avere accesso per catturare il mostricciattolo. Ovvero, ad esempio, basi militari segrete.
La psicosi chiaramente non tiene conto delle evidenti limitazioni spiegate sopra per il caso cinese, ma il tema di fondo – chi e come gestisce i dati personali degli utenti di Pokémon Go – ha una certa rilevanza. Tanto che, riporta Reuters, un senatore americano ha chiesto agli sviluppatori della app di chiarire i dettagli della privacy degli utenti. Tagliati fuori dalla caccia mondiale ai Pokémon, gli utenti cinesi possono provare a consolarsi con la versione China friendly dell’app, distribuita pochi giorni dopo il lancio di Pokémon Go negli Usa. Si chiama City Spirits Go e, spiega RocketNews, al momento è in testa alla classifica dei giochi gratis dell’iOS App Store cinese.
Il gioco è in tutto e per tutto simile all’originale: ci sono i mostricciattoli – che hanno nomi diversi e forme “leggermente” diverse da quelli giapponesi – da catturare, ci sono i punti esperienza da accumulare, ci sono le sfide da fare con gli amici che utilizzano la stessa app e c’è anche la geolocalizzazione, di certo rispettosa dei segreti militari di Pechino. Manca però la realtà aumentata, la vera novità introdotta da Pokémon Go che però, c’è da scommetterci, non tarderà molto ad arrivare nella Repubblica popolare.
Di Matteo Miavaldi