Se servissero a bloccare il terrorismo, le chiacchiere dei nostri politici avrebbero immobilizzato anche il più latente dei pensieri.
Forse il medesimo stupore, che travolge il pubblico nostrano al rimbombare degli assertivi proclami che cadenzano il susseguirsi di personaggi sulla ribalta istituzionale, lascia talmente stupefatti criminali professionisti e malintenzionati dell’ultim’ora da far prevalere la sconfortata incredulità sui più efferati propositi.
Se il merito è dei ghostwriter, l’auspicio è che non smettano di alimentare la cornucopia di annunci, ma se così non fosse sarà il caso di prendere in considerazione una alternativa tattica o strategica che sia.
La recente notizia degli “agenti armati anche fuori servizio” è tuonata come la panacea e il quisque de populo ha immediatamente tirato un sospiro di sollievo. Qualcuno, vagamente poco più informato in proposito, ha ricordato che gli operatori di polizia giudiziaria e pubblica sicurezza da sempre possono portare (e portano) al seguito la pistola di ordinanza e quindi si è chiesto quale fosse la novità.
Ma perché non si parla della capacità di utilizzare l’“automatica” a disposizione. Chi si domanda “chissà” non fatica a trovare risposta.
Il personale “impara” ad usare la pistola con pochi tiri al bersaglio nel corso di formazione, si mantiene in forma con sporadiche esercitazioni durante la carriera (formalmente una manciata di proiettili a cadenza annuale) e molto difficilmente (fatte le debite eccezioni) è in grado di sostenere un qualsivoglia conflitto a fuoco.
Nessuno affronta temi scottanti come quelli del reclutamento di nuove risorse (possibilmente non i soliti raccomandati), dell’addestramento e della fondamentale qualificazione (ho avuto tra l’altro la buona sorte di acquisire il brevetto di istruttore di tiro rapido di 2° livello al Centro Nazionale di Specializzazione e Perfezionamento al Tiro della Polizia di Stato e forse ne so qualcosa), delle verifiche (serie) del grado di efficienza, della remunerazione e del benessere (non si fraintenda) degli addetti alla nostra sicurezza, della serenità loro e delle loro famiglie.
Il problema, poi, si estende celermente e va a toccare la capacità di misurarsi con eventi catastrofici reagendo in maniera composta ed efficace. Non si possono aspettare le fin troppe lezioni che la cronaca sta drammaticamente enumerando: occorre farsi trovare pronti non immaginando solo teste di cuoio e corpi speciali, ma pianificando uno standard diffuso di sensibilità e di preparazione a situazioni “difficili”.
Dando per scontato che le Forze dell’Ordine sanno fare il loro mestiere, sembrerebbe opportuno che in caso di emergenza anche la popolazione “disarmata” sapesse come comportarsi, quali precauzioni adottare, quali iniziative prendere e da quali stare alla larga.
Basterebbe copiare da chi certe cose le sa fare davvero. Un esempio potrebbe essere la “First Responder Guide for Improving Survivability in Improvised Explosive Device and/or Active Shooter Incidents”, ovvero il manuale per incrementare le possibilità di sopravvivenza in caso di attentati con ordigni o nell’ipotesi di sparatorie in spazi pubblici, opera del Dipartimento per la Sicurezza Nazionale statunitense risalente al giugno 2015.
La guida rapida illustra le potenziali minacce e il concetto di pronto intervento, spiegando quali lezioni mette a disposizione l’esperienza militare e quali possano essere gli adattamenti “civili”. La settantina di pagine forniscono indicazioni di primo soccorso e suggeriscono come fare per cercare la propria e altrui incolumità in caso di attacco terroristico.
La descrizione di dieci scenari-tipo aiuta a comprendere cosa succede e cosa fare, ad esempio, in caso tocchi in sorte un kamikaze pronto a farsi esplodere oppure una o più persone in grado di sparare in un’area aperta o in un centro commerciale o in uno stadio.
Un documento del genere può essere un valido spunto per capire come e dove orientare la prua per far maturare una decorosa consapevolezza del pericolo che caratterizza questi difficili tempi. Senza fare inutile e deleterio allarmismo, occorre intervenire il prima possibile per informare, educare, coinvolgere la collettività.
Continuiamo a sbalordirci per la presenza in Rete di filmati e libercoli con cui Isis & C. fanno propaganda e istruiscono i propri adepti: possibile non si possa avviare una campagna divulgativa dalla parte dei buoni?
Un’ultima cosa. A chi plaude orgoglioso alla fortuita e fortunosa circostanza dell’esclusione del nostro Paese dal novero degli obiettivi, mi permetto di far balenare una mia bizzarra suggestione.
Gli irrefrenabili jihadisti non attaccano l’Italia solo perché la macchina preventiva ed investigativa ha reso il nostro territorio (isole comprese) invulnerabile, oppure perché – dopo la negata trattativa Stato-mafia – è in corso una sorta di pax augustea tra le spietate organizzazioni terroristiche e i potenti clan del crimine organizzato?
@Umberto_Rapetto