I casi di attacchi non programmati e senza preparazione stanno crescendo. “Ci sono episodi risalenti anche a decine di anni fa – spiega Lorenzo Vidino, direttore del programma Estremismo del Centro per la Cybersecurity e Sicurezza Interna della Geroge Washington’s University - , ma adesso assistiamo a un aumento importante di queste azioni. E non basterà sventolare la testa di Abu Bakr al-Baghdadi in piazza per fermarli”
Preparazione militare scarsa o inesistente, nessun contatto con i vertici dello Stato Islamico, indottrinamento di pochi mesi o assente. Sono però pronti a tutto pur di uccidere in nome del Califfo e il numero delle vittime spesso eguaglia quello delle azioni coordinate da Raqqa. Sono i jihadisti a costo zero sparsi per l’Europa: un nuovo profilo di terrorista autoradicalizzatosi che utilizza armi facili da reperire e, anche per questo, è ancora più difficile da individuare.
Da Parigi a Würzburg, passando per Nizza, i casi di attacchi non programmati e senza preparazione stanno crescendo. “Ci sono episodi risalenti anche a decine di anni fa – spiega Lorenzo Vidino, direttore del programma Estremismo del Centro per la Cybersecurity e Sicurezza Interna della Geroge Washington’s University – , ma adesso assistiamo a un aumento importante di queste azioni. E non basterà sventolare la testa di Abu Bakr al-Baghdadi in piazza per fermarli”.
Giovani, disagiati, mal addestrati, ma pronti a tutto
Le caratteristiche psicologiche non sono diverse da quelle dei killer che li hanno preceduti al Bataclan o alla redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, ma i nuovi killer low cost sono quasi mai collegati a cellule o filiere jihadiste europee o mediorientali. Sono terroristi fatti in casa. “Intanto c’è da dire – spiega Vidino – che spesso si tratta di soggetti ben inseriti nella civiltà occidentale, non necessariamente persone provenienti da periferie disagiate e con problemi economici. La costante, invece, è quella del disagio psicologico, della mancanza di una propria identità alla quale alcuni rispondono compiendo atti come quelli a cui assistiamo oggi in Europa”. È il caso, ad esempio, di Muhammad Riyad, il 17enne afghano che su un treno diretto a Würzburg, in Baviera, ha ferito cinque persone a colpi di ascia e coltello gridando “Allah Akbar”.
Il ragazzo, che in un video pubblicato successivamente sui canali Telegram dello Stato Islamico ha giurato fedeltà alla causa del Califfo, aveva saputo da pochi giorni della morte di un amico in Afghanistan. Appresa la notizia, sembra che il ragazzo abbia risposto di voler vendicare il compagno.
In questo caso, la radicalizzazione del giovane sembra essere avvenuta su Internet, velocemente, senza un vero e proprio indottrinamento da parte dei reclutatori sparsi per l’Europa. Un po’ come è successo anche a Mohamed Lahouaiej Bouhlel, l’autore della strage di Nizza, che ha sempre condotto uno stile di vita molto occidentale, lontano dalla moschea del proprio quartiere e senza mai dare l’impressione di essere un soggetto radicale. Anche in questo caso nessun coordinamento: il terrorista è passato immediatamente all’azione lanciandosi contro la folla a bordo di un camion frigo.
Anche Bouhlel, come Riyad e Larossi Abballa, il 25enne che vicino a Parigi ha accoltellato e ucciso due poliziotti, stava vivendo un disagio, un trauma: aveva un rapporto conflittuale con la moglie che, spesso, sfociava in atti di violenza. Difficoltà diverse da quelle dell’assassino dei due agenti che, già conosciuto dalle autorità sia come criminale comune che come possibile radicalizzato, viveva un periodo difficile a causa della recente bocciatura all’esame per ottenere il diploma professionale e le difficoltà nel trovare un lavoro. “Un altro elemento che ricorre quasi sempre – continua Vidino – è una personalità con la tendenza alla violenza. Questi ragazzi, chi più o chi meno, hanno manifestato in passato atteggiamenti minacciosi, anche con azioni apparentemente stupide”.
Come appunto Abballa, che aveva precedenti penali per furto, ricettazione e violenze. O come Bouhlel che picchiava la moglie. Ciò che, però, li differenzia dagli attentatori del Bataclan sono la scarsa programmazione, i mezzi limitati e una preparazione militare inesistente. Tutti aspetti che, però, non hanno impedito a questi lupi solitari di uccidere le proprie vittime. “Non hanno ricevuto addestramento militare in Siria, Iraq, all’interno di un esercito o di un corpo paramilitare, come nel caso degli attentatori del 13 novembre 2015 – continua l’analista – Questo fa sì che le loro azioni siano improvvise, improvvisate, ma comunque letali”.
Via fucili e bombe in cambio di coltelli e mezzi di trasporto, via il lungo indottrinamento religioso per una rapida radicalizzazione su Internet. Il risultato sono numerosi lupi solitari a costo zero, difficilmente rintracciabili e pronti a uccidere in nome dello Stato Islamico. Come Rafik Mohamed Yousef, 41 anni, iracheno, che il 17 settembre 2015 a Berlino aggredisce con un coltello e ferisce alla gola una poliziotta. O come Moussa Coulibaly che a febbraio 2015 ha accoltellato tre militari davanti un sito della comunità ebraica di Nizza. “Il movente ha quasi sempre radici politiche o religiose, ma può capitare che questi ragazzi non conducano una vita secondo i precetti dell’Islam (come nel caso di Bouhlel, ndr) – dice l’esperto – Con questi attentati si ottiene il massimo risultato con il minimo sforzo: il lupo solitario userà il brand Isis per dare visibilità alla sua azione, mentre i jihadisti nutriranno la propria immagine con azioni per le quali non hanno dovuto muovere un dito”.
Precedenti anche in Italia, “ma adesso è boom”
Questo tipo di attacchi non sono, però, una novità assoluta. “Già al-Qaeda nei primi anni 2000 – ricorda Vidino – invitava i fedeli a compiere attentati contro gli Occidentali. Basti pensare ai proseliti di Anwar al-Awlaki. Ricordo ancora una copertina di Inspire, il magazine del gruppo fondato da Osama bin Laden, datata 2010 o 2011 che raffigurava un camion e invitava i musulmani a lanciarsi contro gli infedeli”. Ed episodi del genere si sono verificati anche in Italia: “Come quello del 2009 alla caserma Santa Barbara di Milano, o le auto cariche di bombole di gpl esplose nel 2004 a Brescia e nel 2003 davanti alla sinagoga di Modena – ricorda Vidino – Senza dimenticare la serie di attentati in Sicilia e a Milano per i quali è stato condannato Domenico Quaranta”.
Oggi, però, questo tipo di attacchi avvengono con una frequenza maggiore, quasi settimanale. Risultato dell’importante opera di propaganda Isis e della loro grande abilità nell’uso dei social network per fare proselitismo. “Si è ormai innescato un effetto domino – dice l’analista – per cui ogni attacco andato a segno ne stimola di nuovi. Con Isis che si prende subito il merito dell’azione ed esalta le gesta di quelli che definisce ‘suoi soldati’. Così, anche persone comuni possono diventare dei martiri, degli eroi”.
“Un’inversione di rotta? Dobbiamo screditare l’ideologia jihadista, non basta la testa di al-Baghdadi”
La serie di attentati andati a segno e la capacità da parte degli uomini in nero di dare vita a un Califfato che dura ormai da due anni hanno creato attrazione verso la causa jihadista. Ed è proprio questa attrazione, questa ideologia che, sostiene Vidino, deve essere demolita per fermare attacchi come quelli che stanno colpendo l’Europa. “Oggi, in Italia, le Brigate Rosse non attraggono più, hanno perso il fascino che avevano negli anni ’70 – conclude – La stessa cosa deve succedere all’ideologia jihadista che ha fatto breccia in una parte minoritaria del mondo islamico e non solo. Per farlo, dobbiamo risolvere alcuni problemi del Medio Oriente, nelle nostre periferie e smascherare l’ipocrisia e la corruzione dei capi di queste organizzazioni. È un processo lungo, non basterà sventolare in piazza la testa di al-Baghdadi per mettere fine al terrorismo islamista”.