Dal 2009 al 2014, secondo la federazione Ipasvi, il Servizio sanitario nazionale ha perso circa 7.500 addetti, con un calo del 2,21% della forza lavoro. Ognuno si occupa in media di 12 pazienti, mentre l'ideale sarebbe la metà. La presidente Barbara Mangiacavalli: "La mortalità aumenta con il diminuire degli organici infermieristici"
Pochi, massacrati dagli straordinari e pagati sempre meno. Questa la fotografia degli infermieri italiani scattata da Ipasvi, la federazione nazionale dei professionisti del settore. Secondo un rapporto stilato dall’associazione, servono 47mila persone per raggiungere un “numero minimo necessario ottimale per garantire subito l’efficienza del territorio”. Anche perché, sottolinea la federazione, meno infermieri e straordinari troppo pesanti significa un maggiore tasso di mortalità negli ospedali.
Dal 2009 al 2014, infatti, il Servizio sanitario nazionale ha perso circa 7.500 addetti, con un calo del 2,21% della forza lavoro. Nel dettaglio, la contrazione maggiore in valori assoluti si registra in Campania con 2.102 infermieri in meno, seguita dal Lazio con -1.893 e dalla Calabria a -1.444. Ma in percentuale, spiega il rapporto, il primato spetta alla Calabria che perde il 16,31% dei suoi infermieri in cinque anni.
La scarsità di addetti diventa evidente anche anche in rapporto al numero di pazienti. In media, in Italia un infermiere si occupa di 12 pazienti, mentre in alcune Regioni si arriva anche a un rapporto di 1 a 18. Cifre a dir poco lontane dall’obiettivo indicato dalla federazione di un infermiere ogni 6 pazienti. “Studi internazionali hanno dimostrato che la mortalità aumenta con il diminuire degli organici infermieristici – commenta Barbara Mangiacavalli, presidente Ipasvi – e in particolare un minor carico di pazienti per singolo infermiere permette la riduzione della mortalità dei pazienti del – 20%, se si portano da 10 a 6 i pazienti totali affidati a un singolo infermiere”.
Ma la salute dei pazienti, secondo la federazione, è messa a rischio anche dalla quantità di straordinari che devono fare gli infermieri italiani. Nel 2014, questa voce è in aumento in quasi tutte le Regioni rispetto a tre anni prima. “Le punte maggiori si hanno nel primo gruppo in Campania e nel Lazio, dove lo straordinario copre il 4,5% della retribuzione media e in Calabria (4%)”, fa notare il rapporto. “La ridotta vigilanza può portare a errori clinici che possono compromettere il benessere del paziente – aggiunge la presidente Mangiacavalli – In uno studio relativo alle ore di lavoro degli infermieri per la sicurezza del paziente, i rischi di errori e gli errori sono aumentati quando gli infermieri hanno svolto turni straordinari oltre le 12 ore, incrementando 3 volte il rischio di cadere in errore e più del doppio il rischio di incorrere in un quasi-errore”.
E a fronte del maggiore impegno degli infermieri, le loro buste paga si assottigliano con il passare degli anni. Dal 2011 al 2014 le retribuzioni si sono ridotte di circa 70 euro all’anno a testa. A trascinare verso il basso il dato è la Liguria (-664 euro), il Friuli Venezia Giulia (-419 euro) e la Puglia (-310 euro).
“A fronte di questa situazione al limite – afferma il Movimento 5 Stelle in una nota – l’azione messa in campo dal governo e dal ministro della Salute in particolare, è stata – prosegue la nota -costante e chiara: prosecuzione dei tagli nel comparto sanità, blocco del turnover, mancato adeguamento alla normativa europea sull’orario di lavoro del personale medico sanitario. Chi cerca risposte adeguate rispetto ai problemi del comparto andando a bussare alla porta di questo esecutivo sta solo perdendo tempo”.