Polimiche per le parole pronunciate alla convention repubblicana da Al Baldasaro, membro dell’assemblea parlamentare del New Hampshire: Hillary "è una disgrazia per le bugie che ha detto alle madri i cui figli sono stati uccisi a Bengasi", dove nel 2012 perse la vita l'ambasciatore Chris Stevens. Il miliardario al New York Times: "Erdogan? Gli do grande credito. Se sarò presidente non farò pressioni sulla Turchia per chiedere il rispetto dei diritti civili"
L’uccisione dell’ambasciatore Usa a Bengasi, Chris Stevens, piomba nella convention repubblicana. I fatti dell’11 settembre 2012 vengono utilizzati come strumento da uno dei più stretti consiglieri della campagna di Donald Trump per attaccare Hillary Clinton, all’epoca dei fatti segretario di Stato. A scatenare il finimondo le parole shock di Al Baldasaro, per il quale la candidata democratica alla Casa Bianca “dovrebbe essere portata davanti a un plotone di esecuzione e fucilata per alto tradimento”.
“Sono un veterano che ha combattuto e partecipato alle operazioni ‘Desert Shield’ e ‘Desert Storm’ in Iraq e sono anche un padre che ha mandato un figlio in guerra, in Iraq, come tecnico di elicotteri nel corpo dei Marine”, ha detto Baldasaro, membro dell’assemblea parlamentare del New Hampshire. “Hillary per me è come la Jane Fonda del Vietnam”, ha quindi proseguito, riferendosi alle accuse mosse a suo tempo all’attrice di parteggiare per il nemico e di avere posizioni anti-americane. Hillary, ha aggiunto Baldasaro, “è una disgrazia per le bugie che ha detto alle madri i cui figli sono stati uccisi a Bengasi. Tutto mi disgusta di lei, dovrebbe essere messa lungo una linea di tiro e giustiziata per tradimento”.
Grande l’imbarazzo nell’entourage del candidato alla Casa Bianca fresco di nomination, con la sua campagna che di fatto prende le distanze. Anche perché Robert Hoback, portavoce del Secret Service – il corpo che vigila sulla incolumità non solo dei presidenti ma anche dei candidati alla presidenza – ha assicurato che l’agenzia condurrà le indagini del caso. Un’inchiesta è stata già aperta.
Intanto Hillary reagisce alle durissime parole nei suoi confronti, la goccia che fa traboccare il vaso dopo gli attacchi e gli insulti a lei rivolti da quando è iniziata la convention repubblicana.
“La costante escalation di retorica offensiva da parte di Trump rischia di alimentare tra i repubblicani quel tipo d’odio che da tempo era stato relegato ai margini della politica americana”, afferma la campagna della ex first lady. “Questa settimana alla convention repubblicana – si aggiunge – si assiste a un chiaro rafforzamento di questo pericoloso fenomeno”. E gli slogan più gettonati di Cleveland – soprattutto dopo le durissime parole pronunciate dal palco dall’ex sindaco di New York Rudi Giuliani, dal governatore del New jersey Chris Christie, ma anche da Donald Trump Jr, sono diventati sicuramente due: “Hillary for prison” e “Lock her up”, mettetela in galera.
Nel giorno della polemica sulle parole di Baldasaro e del mancato endorsement di Ted Cruz, “The Donald” si ritaglia la sua ribalta sul New York Times. “Se sarò eletto presidente non farò pressioni sulla Turchia o su altri alleati autoritari che conducono purghe sui loro avversari politici o riducono le libertà civili – ha annunciato Trump in un’intervista – gli Stati Uniti devono risolvere i loro problemi prima di cercare di cambiare il comportamento di altri Paesi”. “Gli Stati Uniti – ha specificato il candidato repubblicano – non hanno il diritto di dare lezioni ad altri Paesi”. Il tycoon ha quindi elogiato il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan: “Gli do grande credito – ha spiegato – per essere stato capace di ribaltare la situazione dopo il tentativo di golpe”. ”Alcuni dicono che il tentativo di colpo di stato sia stato provocato ad arte, ma io non lo credo”, ha aggiunto.
Nel corso dell’intervista, in gran parte sui temi di politica estera, Trump ha ribadito come sia meglio tenere in piedi il regime di Bashar Al Assad in Siria piuttosto che indebolire la lotta all’Isis. E ha messo in discussione gli automatismi previsti dall’appartenenza alla Nato: “Se la Russia attaccasse i Paesi baltici non interverrei automaticamente in loro difesa”, ha affermato il candidato repubblicano alla Casa Bianca, spiegando che deciderebbe se intervenire o meno solo dopo aver valutato il contributo di quei Paesi all’Alleanza atlantica.