A furia di raccontare favole si corre il rischio di risvegliarsi in un incubo. E’ quello che sta capitando all’Italia in tema di banche. Il tempo scorre inesorabile e giorno dopo giorno, ora dopo ora, la famosa trattativa con Bruxelles sul salvataggio di Mps sembra ricalcare fedelmente ciò che è accaduto lo scorso anno, quando il governo, la Banca d’Italia e l’Abi discussero per mesi su come procedere per salvare Banca Marche, Popolare Etruria, CariFerrara e CariChieti per poi scoprire che non c’erano alternative al cosiddetto “burden sharing”, cioè alla condivisione degli oneri da parte di azionisti e creditori.
A novembre le quattro banche vennero poste in risoluzione e con un tratto di penna furono cancellati i risparmi di migliaia di famiglie che di quelle banche avevano sottoscritto azioni e obbligazioni subordinate. Ora siamo all’epilogo di quella vicenda: i risparmiatori non hanno ancora avuto un euro di rimborso, i responsabili sono tutti a piede libero e le quattro banche-ponte rinate dalle ceneri dei vecchi istituti stanno per essere vendute. La speranza iniziale era quella di incassare almeno 2 miliardi di euro dalla cessione, anche perché le nuove Banca Marche, Popolare Etruria, CariFerrara e CariChieti si ritrovano con dei bilanci perfetti essendo state conferite tutte le sofferenze a una bad bank. Quindi, come hanno recitato per mesi i venditori (cioè il Fondo di risoluzione della Banca d’Italia) e il governo, sono “senz’altro molto appetibili per il mercato”. Si è visto. Innanzitutto, Roma ha dovuto chiedere a Bruxelles una proroga dei termini per la cessione delle quattro banche perché a fine aprile non erano ancora nemmeno pronti gli information memorandum (cioè i documenti informativi con i dati e i conti delle quattro banche) da distribuire ai potenziali acquirenti.
Per le good bank offerte da 500-600 milioni. Per salvarle il sistema ha sborsato 3,6 miliardi
Poi da 2 miliardi le speranze di incasso si sono ridotte a 1,6-1,4 miliardi a causa dei maggiori oneri di ristrutturazione e degli investimenti necessari al rilancio degli istituti. E alla fine si è arrivati a ben tre, dicasi tre, offerte impegnative in busta chiusa, di cui due per le banche e una per la compagnia d’assicurazioni di Popolare Etruria. Con un laconico comunicato, la Banca d’Italia ha fatto sapere che le offerte sono state girate agli advisor per le opportune valutazioni. Non una parola sull’entità delle cifre che, secondo le indiscrezioni, sarebbero comprese tra i 500 e i 600 milioni, cioè oltre un miliardo di euro in meno rispetto a quanto è costata la ricapitalizzazione delle quattro good bank. A novembre l’operazione Salva-banche aveva comportato per il sistema bancario italiano l’esborso di circa 3,6 miliardi di euro: 1,7 miliardi per coprire le perdite dei quattro istituti, 1,8 miliardi per ricapitalizzarli e 140 milioni circa per dotare di mezzi sufficienti la bad bank chiamata a farsi carico delle sofferenze. I termini dell’operazione non sono mai stati chiariti, tanto che ad oggi non è ancora dato sapere a quali condizioni Intesa Sanpaolo, Unicredit e Ubi abbiano concesso il prestito ponte da circa 2 miliardi per far decollare il salvataggio, ma è intuibile che se le quattro banche verranno vendute a una cifra inferiore a quella iniettata dal Fondo di risoluzione per la loro ricapitalizzazione, il sistema bancario sarà chiamato a farsi carico della perdita versando ulteriori quattrini nel Fondo al quale hanno già anticipato “volontariamente” tre annualità di contributi.
La cessione dei crediti deteriorati di Mps potrebbe diventare un vero affare per Jp Morgan
Insomma, un disastro che ci si prepara a replicare in grande stile con il MontePaschi, la cui disastrata situazione è da anni sotto gli occhi di tutti. Già si sa che il 29 luglio la banca non riuscirà a superare gli stress test della Bce e Francoforte, peraltro, ha chiesto all’istituto senese di liberarsi di 10 miliardi di sofferenze entro il 2018. E’ una situazione potenzialmente esplosiva per la quale il governo ha chiesto a Bruxelles di poter intervenire a sostegno della banca anche con fondi pubblici. Lo ha fatto cercando di sfruttare l’effetto-Brexit e i timori di ripercussioni sistemiche, ma non sembra aver convinto nessuno: al 29 luglio mancano ormai pochi giorni, ma non c’è alcun via libera né sull’utilizzo di fondi pubblici, né tanto meno sulla sospensione della normativa sul bail-in.
Così, il governo da giorni non fa che parlare di una “soluzione di mercato” che passerebbe ancora una volta dal fondo Atlante e da ciò che resta nelle sue casse dopo il salvataggio di Popolare Vicenza e Veneto Banca (1,7 miliardi circa), da un prestito di oltre 6 miliardi che verrebbe concesso da JP Morgan alla società veicolo (Giasone? Caronte?) incaricata di rilevare i non performing loans di MontePaschi e da una ricapitalizzazione di circa 4 miliardi dell’istituto senese a carico di non meglio precisate “banche d’affari” e “investitori istituzionali”. Come si vede, un vero affare, almeno per JP Morgan che senza correre particolari rischi potrebbe spuntare ottimi guadagni. Un po’ meno per Atlante, che sembrerebbe intenzionato a pagare i non performing loans a un prezzo decisamente più elevato rispetto a quello di mercato nella speranza che l’entità dell’operazione (complessivamente circa 10 miliardi di euro) contribuisca a risollevare il valore di mercato delle sofferenze dall’attuale 20%. La realtà dice però che chi investe in non performing loans sostiene rischi non indifferenti e i costi così come i tempi di recupero sono elevati. Questo pesa sul prezzo, così come la qualità delle garanzie sui crediti. Si potrebbe dire che la scelta di pagare un prezzo superiore a quello di mercato è un problema di Atlante, se non fosse che tra gli investitori del fondo gestito da Quaestio sgr c’è anche la mano pubblica rappresentata dalla Cassa depositi e prestiti che, secondo indiscrezioni, sarebbe disposta a sacrificare sull’altare dell’operazione MontePaschi ulteriori fondi, oltre ai 500 milioni circa già investiti nel primo round di finanziamento del fondo.
L’idea è di rimborsare i risparmiatori di Mps. Ma lo Stato dove andrà a prendere quei soldi?
Più che l’operazione sui non performing loans, lo snodo cruciale è rappresentato dalle modalità con le quali verrà ricapitalizzata la banca senese. Al di là delle rassicurazioni di facciata, non si può escludere che in ultima istanza sia costretto a intervenire lo Stato, cosa che farebbe automaticamente scattare il bail-in. E’ per questo che tra Bruxelles e Roma, a quanto si apprende, si sta facendo strada l’idea che contestualmente all’intervento pubblico a sostegno della banca venga decretato il rimborso per i risparmiatori cui sono state vendute impropriamente obbligazioni subordinate: una soluzione, questa, che consentirebbe di rispettare la normativa Ue senza penalizzare troppo i risparmiatori che si trovano a detenere circa i due terzi delle obbligazioni subordinate emesse dalla banca, vale a dire qualcosa come 3,3 miliardi di euro in titoli.
Ma al solito non si possono fare i conti senza l’oste: dove andrà a prenderli lo Stato 3 miliardi? Potrà rimborsare al 100% gli obbligazionisti di Siena, quando ha previsto solo l’80% di rimborsi a quelli delle quattro banche andate in risoluzione a novembre? Varranno gli stessi limiti di reddito e di entità dell’investimento? Insomma, posto che i risparmiatori truffati di Popolare Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariChieti non hanno ancora visto un euro, se nel caso di MontePaschi venisse adottato lo stesso schema andrebbe in fumo oltre un miliardo di risparmi delle famiglie. Non c’è che dire, un bel regalo di Ferragosto che non mancherà di produrre conseguenze ancora più gravi sull’intero sistema bancario.