A furia di raccontare favole si corre il rischio di risvegliarsi in un incubo. E’ quello che sta capitando all’Italia in tema di banche. Il tempo scorre inesorabile e giorno dopo giorno, ora dopo ora, la famosa trattativa con Bruxelles sul salvataggio di Mps sembra ricalcare fedelmente ciò che è accaduto lo scorso anno, quando il governo, la Banca d’Italia e l’Abi discussero per mesi su come procedere per salvare Banca Marche, Popolare Etruria, CariFerrara e CariChieti per poi scoprire che non c’erano alternative al cosiddetto “burden sharing”, cioè alla condivisione degli oneri da parte di azionisti e creditori.
A novembre le quattro banche vennero poste in risoluzione e con un tratto di penna furono cancellati i risparmi di migliaia di famiglie che di quelle banche avevano sottoscritto azioni e obbligazioni subordinate. Ora siamo all’epilogo di quella vicenda: i risparmiatori non hanno ancora avuto un euro di rimborso, i responsabili sono tutti a piede libero e le quattro banche-ponte rinate dalle ceneri dei vecchi istituti stanno per essere vendute. La speranza iniziale era quella di incassare almeno 2 miliardi di euro dalla cessione, anche perché le nuove Banca Marche, Popolare Etruria, CariFerrara e CariChieti si ritrovano con dei bilanci perfetti essendo state conferite tutte le sofferenze a una bad bank. Quindi, come hanno recitato per mesi i venditori (cioè il Fondo di risoluzione della Banca d’Italia) e il governo, sono “senz’altro molto appetibili per il mercato”. Si è visto. Innanzitutto, Roma ha dovuto chiedere a Bruxelles una proroga dei termini per la cessione delle quattro banche perché a fine aprile non erano ancora nemmeno pronti gli information memorandum (cioè i documenti informativi con i dati e i conti delle quattro banche) da distribuire ai potenziali acquirenti.
Per le good bank offerte da 500-600 milioni. Per salvarle il sistema ha sborsato 3,6 miliardi
Poi da 2 miliardi le speranze di incasso si sono ridotte a 1,6-1,4 miliardi a causa dei maggiori oneri di ristrutturazione e degli investimenti necessari al rilancio degli istituti. E alla fine si è arrivati a ben tre, dicasi tre, offerte impegnative in busta chiusa, di cui due per le banche e una per la compagnia d’assicurazioni di Popolare Etruria. Con un laconico comunicato, la Banca d’Italia ha fatto sapere che le offerte sono state girate agli advisor per le opportune valutazioni. Non una parola sull’entità delle cifre che, secondo le indiscrezioni, sarebbero comprese tra i 500 e i 600 milioni, cioè oltre un miliardo di euro in meno rispetto a quanto è costata la ricapitalizzazione delle quattro good bank. A novembre l’operazione Salva-banche aveva comportato per il sistema bancario italiano l’esborso di circa 3,6 miliardi di euro: 1,7 miliardi per coprire le perdite dei quattro istituti, 1,8 miliardi per ricapitalizzarli e 140 milioni circa per dotare di mezzi sufficienti la bad bank chiamata a farsi carico delle sofferenze. I termini dell’operazione non sono mai stati chiariti, tanto che ad oggi non è ancora dato sapere a quali condizioni Intesa Sanpaolo, Unicredit e Ubi abbiano concesso il prestito ponte da circa 2 miliardi per far decollare il salvataggio, ma è intuibile che se le quattro banche verranno vendute a una cifra inferiore a quella iniettata dal Fondo di risoluzione per la loro ricapitalizzazione, il sistema bancario sarà chiamato a farsi carico della perdita versando ulteriori quattrini nel Fondo al quale hanno già anticipato “volontariamente” tre annualità di contributi.
La cessione dei crediti deteriorati di Mps potrebbe diventare un vero affare per Jp Morgan
Insomma, un disastro che ci si prepara a replicare in grande stile con il MontePaschi, la cui disastrata situazione è da anni sotto gli occhi di tutti. Già si sa che il 29 luglio la banca non riuscirà a superare gli stress test della Bce e Francoforte, peraltro, ha chiesto all’istituto senese di liberarsi di 10 miliardi di sofferenze entro il 2018. E’ una situazione potenzialmente esplosiva per la quale il governo ha chiesto a Bruxelles di poter intervenire a sostegno della banca anche con fondi pubblici. Lo ha fatto cercando di sfruttare l’effetto-Brexit e i timori di ripercussioni sistemiche, ma non sembra aver convinto nessuno: al 29 luglio mancano ormai pochi giorni, ma non c’è alcun via libera né sull’utilizzo di fondi pubblici, né tanto meno sulla sospensione della normativa sul bail-in.
Così, il governo da giorni non fa che parlare di una “soluzione di mercato” che passerebbe ancora una volta dal fondo Atlante e da ciò che resta nelle sue casse dopo il salvataggio di Popolare Vicenza e Veneto Banca (1,7 miliardi circa), da un prestito di oltre 6 miliardi che verrebbe concesso da JP Morgan alla società veicolo (Giasone? Caronte?) incaricata di rilevare i non performing loans di MontePaschi e da una ricapitalizzazione di circa 4 miliardi dell’istituto senese a carico di non meglio precisate “banche d’affari” e “investitori istituzionali”. Come si vede, un vero affare, almeno per JP Morgan che senza correre particolari rischi potrebbe spuntare ottimi guadagni. Un po’ meno per Atlante, che sembrerebbe intenzionato a pagare i non performing loans a un prezzo decisamente più elevato rispetto a quello di mercato nella speranza che l’entità dell’operazione (complessivamente circa 10 miliardi di euro) contribuisca a risollevare il valore di mercato delle sofferenze dall’attuale 20%. La realtà dice però che chi investe in non performing loans sostiene rischi non indifferenti e i costi così come i tempi di recupero sono elevati. Questo pesa sul prezzo, così come la qualità delle garanzie sui crediti. Si potrebbe dire che la scelta di pagare un prezzo superiore a quello di mercato è un problema di Atlante, se non fosse che tra gli investitori del fondo gestito da Quaestio sgr c’è anche la mano pubblica rappresentata dalla Cassa depositi e prestiti che, secondo indiscrezioni, sarebbe disposta a sacrificare sull’altare dell’operazione MontePaschi ulteriori fondi, oltre ai 500 milioni circa già investiti nel primo round di finanziamento del fondo.
L’idea è di rimborsare i risparmiatori di Mps. Ma lo Stato dove andrà a prendere quei soldi?
Più che l’operazione sui non performing loans, lo snodo cruciale è rappresentato dalle modalità con le quali verrà ricapitalizzata la banca senese. Al di là delle rassicurazioni di facciata, non si può escludere che in ultima istanza sia costretto a intervenire lo Stato, cosa che farebbe automaticamente scattare il bail-in. E’ per questo che tra Bruxelles e Roma, a quanto si apprende, si sta facendo strada l’idea che contestualmente all’intervento pubblico a sostegno della banca venga decretato il rimborso per i risparmiatori cui sono state vendute impropriamente obbligazioni subordinate: una soluzione, questa, che consentirebbe di rispettare la normativa Ue senza penalizzare troppo i risparmiatori che si trovano a detenere circa i due terzi delle obbligazioni subordinate emesse dalla banca, vale a dire qualcosa come 3,3 miliardi di euro in titoli.
Ma al solito non si possono fare i conti senza l’oste: dove andrà a prenderli lo Stato 3 miliardi? Potrà rimborsare al 100% gli obbligazionisti di Siena, quando ha previsto solo l’80% di rimborsi a quelli delle quattro banche andate in risoluzione a novembre? Varranno gli stessi limiti di reddito e di entità dell’investimento? Insomma, posto che i risparmiatori truffati di Popolare Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariChieti non hanno ancora visto un euro, se nel caso di MontePaschi venisse adottato lo stesso schema andrebbe in fumo oltre un miliardo di risparmi delle famiglie. Non c’è che dire, un bel regalo di Ferragosto che non mancherà di produrre conseguenze ancora più gravi sull’intero sistema bancario.
Lobby
Banche, le favole (smentite) del governo su Mps e sulla vendita delle nuove PopEtruria, Marche, Carife e Carichieti
La trattativa con la Ue sul salvataggio di Rocca Salimbeni ricalca quel che è successo l'anno scorso per le quattro popolari i cui azionisti e obbligazionisti hanno poi perso tutto. Per Siena si parla di una “soluzione di mercato” attraverso il fondo Atlante, probabilmente rifinanziato da Cdp e con un prestito di Jp Morgan. Ma non è escluso che in ultima istanza debba intervenire lo Stato. Intanto per le good bank sono arrivate offerte molto inferiori alle previsioni e il sistema dovrà farsi carico delle perdite
A furia di raccontare favole si corre il rischio di risvegliarsi in un incubo. E’ quello che sta capitando all’Italia in tema di banche. Il tempo scorre inesorabile e giorno dopo giorno, ora dopo ora, la famosa trattativa con Bruxelles sul salvataggio di Mps sembra ricalcare fedelmente ciò che è accaduto lo scorso anno, quando il governo, la Banca d’Italia e l’Abi discussero per mesi su come procedere per salvare Banca Marche, Popolare Etruria, CariFerrara e CariChieti per poi scoprire che non c’erano alternative al cosiddetto “burden sharing”, cioè alla condivisione degli oneri da parte di azionisti e creditori.
A novembre le quattro banche vennero poste in risoluzione e con un tratto di penna furono cancellati i risparmi di migliaia di famiglie che di quelle banche avevano sottoscritto azioni e obbligazioni subordinate. Ora siamo all’epilogo di quella vicenda: i risparmiatori non hanno ancora avuto un euro di rimborso, i responsabili sono tutti a piede libero e le quattro banche-ponte rinate dalle ceneri dei vecchi istituti stanno per essere vendute. La speranza iniziale era quella di incassare almeno 2 miliardi di euro dalla cessione, anche perché le nuove Banca Marche, Popolare Etruria, CariFerrara e CariChieti si ritrovano con dei bilanci perfetti essendo state conferite tutte le sofferenze a una bad bank. Quindi, come hanno recitato per mesi i venditori (cioè il Fondo di risoluzione della Banca d’Italia) e il governo, sono “senz’altro molto appetibili per il mercato”. Si è visto. Innanzitutto, Roma ha dovuto chiedere a Bruxelles una proroga dei termini per la cessione delle quattro banche perché a fine aprile non erano ancora nemmeno pronti gli information memorandum (cioè i documenti informativi con i dati e i conti delle quattro banche) da distribuire ai potenziali acquirenti.
Poi da 2 miliardi le speranze di incasso si sono ridotte a 1,6-1,4 miliardi a causa dei maggiori oneri di ristrutturazione e degli investimenti necessari al rilancio degli istituti. E alla fine si è arrivati a ben tre, dicasi tre, offerte impegnative in busta chiusa, di cui due per le banche e una per la compagnia d’assicurazioni di Popolare Etruria. Con un laconico comunicato, la Banca d’Italia ha fatto sapere che le offerte sono state girate agli advisor per le opportune valutazioni. Non una parola sull’entità delle cifre che, secondo le indiscrezioni, sarebbero comprese tra i 500 e i 600 milioni, cioè oltre un miliardo di euro in meno rispetto a quanto è costata la ricapitalizzazione delle quattro good bank. A novembre l’operazione Salva-banche aveva comportato per il sistema bancario italiano l’esborso di circa 3,6 miliardi di euro: 1,7 miliardi per coprire le perdite dei quattro istituti, 1,8 miliardi per ricapitalizzarli e 140 milioni circa per dotare di mezzi sufficienti la bad bank chiamata a farsi carico delle sofferenze. I termini dell’operazione non sono mai stati chiariti, tanto che ad oggi non è ancora dato sapere a quali condizioni Intesa Sanpaolo, Unicredit e Ubi abbiano concesso il prestito ponte da circa 2 miliardi per far decollare il salvataggio, ma è intuibile che se le quattro banche verranno vendute a una cifra inferiore a quella iniettata dal Fondo di risoluzione per la loro ricapitalizzazione, il sistema bancario sarà chiamato a farsi carico della perdita versando ulteriori quattrini nel Fondo al quale hanno già anticipato “volontariamente” tre annualità di contributi.
Insomma, un disastro che ci si prepara a replicare in grande stile con il MontePaschi, la cui disastrata situazione è da anni sotto gli occhi di tutti. Già si sa che il 29 luglio la banca non riuscirà a superare gli stress test della Bce e Francoforte, peraltro, ha chiesto all’istituto senese di liberarsi di 10 miliardi di sofferenze entro il 2018. E’ una situazione potenzialmente esplosiva per la quale il governo ha chiesto a Bruxelles di poter intervenire a sostegno della banca anche con fondi pubblici. Lo ha fatto cercando di sfruttare l’effetto-Brexit e i timori di ripercussioni sistemiche, ma non sembra aver convinto nessuno: al 29 luglio mancano ormai pochi giorni, ma non c’è alcun via libera né sull’utilizzo di fondi pubblici, né tanto meno sulla sospensione della normativa sul bail-in.
Così, il governo da giorni non fa che parlare di una “soluzione di mercato” che passerebbe ancora una volta dal fondo Atlante e da ciò che resta nelle sue casse dopo il salvataggio di Popolare Vicenza e Veneto Banca (1,7 miliardi circa), da un prestito di oltre 6 miliardi che verrebbe concesso da JP Morgan alla società veicolo (Giasone? Caronte?) incaricata di rilevare i non performing loans di MontePaschi e da una ricapitalizzazione di circa 4 miliardi dell’istituto senese a carico di non meglio precisate “banche d’affari” e “investitori istituzionali”. Come si vede, un vero affare, almeno per JP Morgan che senza correre particolari rischi potrebbe spuntare ottimi guadagni. Un po’ meno per Atlante, che sembrerebbe intenzionato a pagare i non performing loans a un prezzo decisamente più elevato rispetto a quello di mercato nella speranza che l’entità dell’operazione (complessivamente circa 10 miliardi di euro) contribuisca a risollevare il valore di mercato delle sofferenze dall’attuale 20%. La realtà dice però che chi investe in non performing loans sostiene rischi non indifferenti e i costi così come i tempi di recupero sono elevati. Questo pesa sul prezzo, così come la qualità delle garanzie sui crediti. Si potrebbe dire che la scelta di pagare un prezzo superiore a quello di mercato è un problema di Atlante, se non fosse che tra gli investitori del fondo gestito da Quaestio sgr c’è anche la mano pubblica rappresentata dalla Cassa depositi e prestiti che, secondo indiscrezioni, sarebbe disposta a sacrificare sull’altare dell’operazione MontePaschi ulteriori fondi, oltre ai 500 milioni circa già investiti nel primo round di finanziamento del fondo.
Più che l’operazione sui non performing loans, lo snodo cruciale è rappresentato dalle modalità con le quali verrà ricapitalizzata la banca senese. Al di là delle rassicurazioni di facciata, non si può escludere che in ultima istanza sia costretto a intervenire lo Stato, cosa che farebbe automaticamente scattare il bail-in. E’ per questo che tra Bruxelles e Roma, a quanto si apprende, si sta facendo strada l’idea che contestualmente all’intervento pubblico a sostegno della banca venga decretato il rimborso per i risparmiatori cui sono state vendute impropriamente obbligazioni subordinate: una soluzione, questa, che consentirebbe di rispettare la normativa Ue senza penalizzare troppo i risparmiatori che si trovano a detenere circa i due terzi delle obbligazioni subordinate emesse dalla banca, vale a dire qualcosa come 3,3 miliardi di euro in titoli.
Ma al solito non si possono fare i conti senza l’oste: dove andrà a prenderli lo Stato 3 miliardi? Potrà rimborsare al 100% gli obbligazionisti di Siena, quando ha previsto solo l’80% di rimborsi a quelli delle quattro banche andate in risoluzione a novembre? Varranno gli stessi limiti di reddito e di entità dell’investimento? Insomma, posto che i risparmiatori truffati di Popolare Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariChieti non hanno ancora visto un euro, se nel caso di MontePaschi venisse adottato lo stesso schema andrebbe in fumo oltre un miliardo di risparmi delle famiglie. Non c’è che dire, un bel regalo di Ferragosto che non mancherà di produrre conseguenze ancora più gravi sull’intero sistema bancario.
Lady Etruria
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Sankt Moritz, 13 mar. -(Adnkronos) - La prima tappa della Coppa delle Alpi by 1000 Miglia 2025, partita da Brescia alle 9:00 di stamattina, è in conclusione. La classifica aggiornata alla Prova di Media sul Passo Eira vede Francesco e Giuseppe di Petra in testa a bordo della loro Fiat 508C del 1938, seguiti da Belotti-Plebani sulla Bugatti T 37 A del 1927 e da un’altra 508C ma del 1937, quella di Aliverti-Polini. Conclusa la sosta per il pranzo a Tirano, gli equipaggi hanno iniziato a risalire la Valtellina toccando prima Grosio, con la vista del Castello Vecchio di San Faustino sullo sfondo, e poi Bormio, che ha ospitato un controllo timbro in pieno centro storico. Una volta lasciata alle spalle la cittadina, hanno iniziato a profilarsi i primi scorci imbiancati. Ben presto, gli equipaggi si sono visti immersi in un panorama completamente innevato, reso ancor più bello dalla luce del sole del pomeriggio.
Sul Passo Eira, ad un’altitudine di 2000 metri, si è tenuta la prima Prova di Media della manifestazione, dopodiché il convoglio è giunto a Livigno, che ha accolto i piloti per un coffee break nella Piazza del Comune. Il benvenuto del centro cittadino è stato caloroso, con una folla entusiasta che si è riunita nei pressi dell’arco all’arrivo nella cittadina, partner della Coppa delle Alpi 2025. Costeggiando il lago di Livigno, ghiacciato dalle rigide temperature invernali, gli equipaggi sono entrati in Svizzera passando dal tunnel Munt la Schera. Le vetture sono infine giunte a St. Moritz, primo traguardo di tappa della Coppa delle Alpi 2025.
Lasciandosi alle spalle la Torre Pendente di San Maurizio, hanno effettuato le ultime prove di giornata e, dopo aver costeggiato il lago di St. Moritz, sono finalmente giunte al Controllo Orario finale nella centralissima via Serlas sotto una consistente nevicata.
Verona, 13 mar. - (Adnkronos) - "Abbiamo voluto e portato all’interno di una manifestazione fieristica un progetto di natura sociale, per la prima volta in assoluto, in quanto non era mai accaduto che si dedicasse un intero padiglione alla fiera del sociale. Lo abbiamo fatto per la prima volta in occasione del primo evento di LetExpo, e ora siamo alla quarta edizione. Siamo partiti con tre organizzazioni tra fondazioni e associazioni: Fondazione Grimaldi, la Comunità Lautari e l’ospedale pediatrico Santobono Pausilipon, con la sua Fondazione. Oggi sono più di 50 organizzazioni, c’è stata una crescita esponenziale. Sono felice di aver condiviso tutte queste annate con il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, che ha condiviso con noi questi momenti”. Lo ha detto Eugenio Grimaldi, executive manager del Gruppo Grimaldi e presidente di Alis per il Sociale alla quarta edizione di LetExpo, la fiera di riferimento per i trasporti, la logistica, i servizi alle imprese e la sostenibilità, in programma a Verona fino al 14 marzo. La fiera è promossa da Alis in collaborazione con Veronafiere, LetExpo rappresenta l’evento nazionale e internazionale di riferimento della filiera, con un focus sulle attuali dinamiche geopolitiche e sulla sostenibilità ambientale, economica e sociale.
“Il ministro Locatelli ha ascoltato le istanze di queste fondazioni e organizzazioni, ci ha invitato a Palazzo Chigi, dove abbiamo avuto modo di parlare delle loro criticità e ascoltandole credo che nei nuovi decreti abbiano potuto portare e sollevare delle linee guida presenti oggi in questi nuovi decreti. Quindi, rappresenta un risultato tangibile che ci dà grande soddisfazione - afferma Grimaldi - Ho avuto la percezione anche di una crescita per i prossimi anni e questo dà sicuramente grande soddisfazione e ancora più voglia di lavorare”.
“E’ stato un momento di grande soddisfazione aver avuto momenti di condivisione con i gruppi del ministero della Difesa, come l’esercizio, che hanno partecipato in senso attivo non solo nel padiglione, dove c'è l'organizzazione del Ministero della Difesa, ma si sono avvicinati al padiglione 1, dedicato al sociale - spiega - Già abbiamo condiviso che l'anno prossimo avremo una partecipazione anche all’interno dell’organizzazione da parte loro. Abbiamo avuto anche l'Aeronautica militare, che con la Fanfara ha aperto il padiglione nella giornata inaugurale”. “Voglio ringraziare tutte le imprese, che rappresentano il senso di questo evento e le aziende che hanno già portato a termine alcuni progetti con la Comunità Lautari e con la Fondazione Grimaldi, ma soprattutto che hanno portato a compimento già con la Fondazione Santobono. C'è un senso pratico e tangibile del lavoro espresso in questo padiglione e in questa fiera, che porta sicuramente dei risultati nel terzo settore, dove ci sono i più fragili”, conclude Grimaldi.
Roma, 13 mar. (Adnkronos) - Cresce la consapevolezza degli italiani verso la sostenibilità alimentare. A testimoniarlo è la recente indagine 'Le scelte alimentari degli italiani tra sostenibilità e consumo: percezioni e preferenze verso i prodotti certificati' commissionata a Consumerismo No Profit da Findus e presentata oggi durante un incontro svoltosi presso l’Acquario Civico di Milano.
Secondo il sondaggio, quasi 7 consumatori su 10 (il 68% degli intervistati) considera la sostenibilità un fattore importante, con quasi il 20% che la ritiene un driver fondamentale nella scelta dei prodotti alimentari da acquistare. Inoltre, l’indagine evidenzia come le abitudini d’acquisto stiano cambiando: rispetto a 10 anni fa, il 66% degli intervistati dichiara di aver aumentato la propria attenzione nei confronti di prodotti certificati sostenibili e 2 italiani su 10 li cercano attivamente al supermercato. Quasi la metà degli intervistati (46%) dichiara di leggere spesso le etichette per verificare la provenienza e la filiera dei prodotti alimentari, il 26% lo fa sempre.
Per quanto riguarda i prodotti certificati sostenibili, 1 italiano su 10 (12%) li sceglie sempre, mentre il 71% li acquista occasionalmente, approfittando di offerte e promozioni, dimostrando una predisposizione selettiva che spesso dipende dal prezzo. Quando si tratta di prodotti ittici, la qualità e la freschezza rimangono il principale fattore di scelta per il 64% degli intervistati, seguiti dalla provenienza del pesce (59%) e dal prezzo (51%). Ma è da segnalare anche che 1 consumatore su 4 (26%) indica le certificazioni di sostenibilità come un criterio determinante nella scelta dei prodotti ittici, un dato che suggerisce come le certificazioni stiano entrando tra i criteri di scelta, seppure ci sia da continuare a lavorare.
Roma, 13 mar. (Adnkronos) - Cresce la consapevolezza degli italiani verso la sostenibilità alimentare. A testimoniarlo è la recente indagine 'Le scelte alimentari degli italiani tra sostenibilità e consumo: percezioni e preferenze verso i prodotti certificati' commissionata a Consumerismo No Profit da Findus e presentata oggi durante un incontro svoltosi presso l’Acquario Civico di Milano.
Secondo il sondaggio, quasi 7 consumatori su 10 (il 68% degli intervistati) considera la sostenibilità un fattore importante, con quasi il 20% che la ritiene un driver fondamentale nella scelta dei prodotti alimentari da acquistare. Inoltre, l’indagine evidenzia come le abitudini d’acquisto stiano cambiando: rispetto a 10 anni fa, il 66% degli intervistati dichiara di aver aumentato la propria attenzione nei confronti di prodotti certificati sostenibili e 2 italiani su 10 li cercano attivamente al supermercato. Quasi la metà degli intervistati (46%) dichiara di leggere spesso le etichette per verificare la provenienza e la filiera dei prodotti alimentari, il 26% lo fa sempre.
Per quanto riguarda i prodotti certificati sostenibili, 1 italiano su 10 (12%) li sceglie sempre, mentre il 71% li acquista occasionalmente, approfittando di offerte e promozioni, dimostrando una predisposizione selettiva che spesso dipende dal prezzo. Quando si tratta di prodotti ittici, la qualità e la freschezza rimangono il principale fattore di scelta per il 64% degli intervistati, seguiti dalla provenienza del pesce (59%) e dal prezzo (51%). Ma è da segnalare anche che 1 consumatore su 4 (26%) indica le certificazioni di sostenibilità come un criterio determinante nella scelta dei prodotti ittici, un dato che suggerisce come le certificazioni stiano entrando tra i criteri di scelta, seppure ci sia da continuare a lavorare.
Roma, 13 mar. - (Adnkronos) - Il Gruppo Webuild ha chiuso il 2024 con risultati record, superando gli impegnativi obiettivi previsti per l’anno grazie a una crescita a doppia cifra, con ricavi pari a 12 miliardi (+20% sul 2023) mentre l'Ebitda ammonta a 967 milioni (+18%, rispetto a una guidance fissata sopra i 900 milioni), corrispondente a un margine del’8,1%. Il gruppo sottolinea come la struttura finanziaria si è rafforzata ulteriormente mantenendo per il quarto anno consecutivo una posizione di cassa netta, che si attesta a 1.445 milioni nel 2024 (ben superiore agli oltre 400 milioni fissati nella guidance) mentre la leva finanziaria si è ridotta a 2,9x, attestandosi ad un livello migliore rispetto ai principali player internazionali di settore.
La crescita - si sottolinea - è trainata dallo sviluppo delle attività in Italia (Alta Velocità/Alta Capacità ferroviaria MilanoGenova e Verona-Padova, Alta Velocità ferroviaria Napoli-Bari e Palermo-Catania-Messina), in Australia (Snowy Hydro 2.0, SSTOM Sydney Metro, Perdaman e North East Link di Melbourne) e in Arabia Saudita (Trojena Dams e Connector South).
Il Gruppo ha continuato a consolidare la propria leadership in Italia e nei principali mercati internazionali, tra cui Europa, Australia, Stati Uniti e Medio Oriente, che nel 2024 hanno contribuito per oltre il 90% ai ricavi, a conferma del proseguimento dell’impegno nella politica di de-risking.
A fine 2024 il portafoglio ordini totale di Weibuld risultava pari a 63,2 miliardi di euro, di cui 54,3 miliardi relativi a construction e 8,9 miliardi riferiti a concessions e operation & maintenance. Il backlog construction - si sottolinea in una nota - "si conferma tra i più alti rispetto ai principali peers europei nel segmento construction". Peraltro, ricorda Webuild, circa il 90% del backlog construction del Gruppo è relativo a progetti legati all’avanzamento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite. In termini di geografie il portafoglio ordini risulta prevalentemente distribuito tra Italia, paesi dell’Europa Centrale e del Nord, Stati Uniti, Medio Oriente ed Australia - principalmente in segmenti legati alla mobilità sostenibile quali l’alta velocità, il settore ferroviario e il settore stradale - portando i progetti in queste geografie a quasi il 90% del backlog construction.
Alla luce dei risultati record raggiunti nel 2024, ma anche "del consolidato posizionamento in un mercato in forte espansione e della robusta piattaforma costruita nel tempo", Webuild ha rivisto al rialzo i target 2025, definiti nel piano "Roadmap al 2025 – The Future is Now", che già prevedevano obiettivi ambiziosi. La nuova guidance prevede per il 2025 ricavi superiori a 12,5 miliardi (il target precedente era di 10,5-11 miliardi), un Ebitda maggiore di 1,1 miliardi, rispetto ad un precedente target di €990-1.050 milioni, e una solida cassa netta superiore a 700 milioni, rispetto all’indicazione di una cassa netta positiva.
Webuild ha chiuso il 2024 con un utile netto attribuibile ai Soci della Controllante adjusted di 247 milioni di euro contro i 236 milioni del 2023.Il risultato prima delle imposte adjusted si attesta a 434 milioni con un aumento del 10% rispetto all’esercizio precedente mentre le Imposte sul reddito adjusted ammontano a 181 milioni. La Posizione finanziaria netta delle attività continuative al 31 dicembre 2024 era positiva per 1.445 (€1.431 milioni al 31 dicembre 2023), registrando un risultato superiore alle attese. Questo risultato - si sottolinea in una nota - "conferma l’efficacia delle strategie adottate per ottimizzare la gestione del capitale circolante e riflette i successi commerciali conseguiti dal Gruppo anche nel 2024, assumendo ancora maggiore rilevanza alla luce degli investimenti in dotazioni tecniche e beni in leasing (970 milioni) per l’avvio dei grandi progetti in corso".
A fine esercizio l’indebitamento lordo, al netto dell’effetto temporaneo di incremento del debito legato all’operazione di liability management di ottobre 2024, si attesta a 2,765 miliardi (2,609 miliardi nel 2023), con un rapporto Indebitamento lordo/EBITDA di 2,9x, in riduzione rispetto al dato di 3,2x al 31 dicembre 2023. Alla luce dei risultati nell'assemblea che sarà convocata per il 16 aprile sarà proposto un dividendo di 0,081 euro per azione ordinaria (+14%) e di 0,26 euro per ciascuna azione di risparmio.
Napoli, 13 mar. (Adnkronos/Labitalia) - In una Campania in crescita, ma ancora segnata dal fenomeno della fuga di talenti, il legame tra formazione universitaria e sviluppo economico diventa cruciale. Se ne è discusso presso la Sala D’Amato dell’Unione Industriale Napoli, durante l’evento 'Muoversi nelle professioni e sul territorio', promosso dalla Luiss e dedicato alle lauree magistrali dell’Ateneo.
“La Luiss lavora in prima linea per costruire corsi di laurea magistrale strettamente legati alle necessità del mercato del lavoro. Pur avendo sede a Roma, dedichiamo particolare attenzione alla Campania, seconda regione di provenienza dei nostri studenti e territorio ricco di opportunità nei settori chiave come turismo, agroalimentare e aerospazio. Il nostro obiettivo è collaborare con le imprese campane affinché i nostri studenti possano realizzarsi professionalmente all’interno di esse, raggiungendo posizioni apicali”, ha spiegato Enzo Peruffo, Dean della Graduate School Luiss e responsabile dello sviluppo dei percorsi magistrali dell’Ateneo.
Durante l’incontro sono state illustrate anche le caratteristiche dell’offerta formativa Luiss: “E' importante farsi guidare dalle proprie passioni e dai propri interessi, ma anche essere pronti a sviluppare nuove competenze trasversali, saper dialogare con l’intelligenza artificiale con solide competenze verticali e lavorare sulle life skills, le cosiddette competenze della vita. Solo così si potranno affrontare le trasformazioni attuali e future. Per noi è fondamentale interagire con tutte le realtà del territorio, da cui traiamo spunto per disegnare un’offerta formativa sempre più aderente alle esigenze del mercato del lavoro. Il nostro obiettivo è formare studenti altamente preparati, motivati e appassionati, in grado non solo di entrare nel mondo del lavoro, ma di costruire percorsi di carriera soddisfacenti e di successo”.
Roma, 13 mar. (Adnkronos/Labitalia) - Si è conclusa oggi la terza edizione del Welfare day evento di riferimento per il mondo del welfare aziendale, organizzato da Comunicazione Italiana in collaborazione con Pluxee Italia, player globale leader nei benefit aziendali e nell’employee engagement. La giornata, ospitata presso Palazzo dell’Informazione in Roma e trasmessa in diretta su www.comunicazioneitaliana.tv, ha offerto spunti concreti su come le imprese possano integrare il welfare nelle proprie strategie, favorendo sostenibilità, engagement dei dipendenti e innovazione.
L'evento si è aperto con il Keynote Speech di Pluxee Italia, in cui Anna Maria Mazzini e Tommaso Palermo - rispettivamente Chief Growth Officer e Managing Director di Pluxee Italia - hanno evidenziato come il welfare aziendale stia evolvendo in una strategia collettiva, guidata dalla digitalizzazione e dalla crescente personalizzazione dei servizi. Attraverso dati e case study, è emerso come la tecnologia stia rivoluzionando la gestione del benessere dei dipendenti, rendendolo più accessibile ed efficace. Durante l’evento Pluxee ha presentato anche la nuova piattaforma welfare: un’innovazione che amplia l’offerta dei servizi offerti, basata su flessibilità, accessibilità e ampiezza del network.
Nel corso delle tre sessioni talk show, con la partecipazione di Chro, welfare manager e altre figure hr chiave di aziende del Paese, sono stati affrontati alcuni dei temi più rilevanti per il futuro del welfare. Nel primo, 'Welfare strategico: l’alleanza tra hr e business e la creazione di valore sostenibile', con la conduzione di Esther Intile di Enel Group, è stato approfondito il legame tra il welfare aziendale e la sostenibilità delle imprese. Tra i punti emersi, la necessità di un approccio integrato tra hr e business per massimizzare l’impatto positivo del welfare sulla produttività e sulla retention dei talenti.
Nel secondo panel, “Il ruolo dei benefit aziendali all'interno della strategia di welfare”, si è discusso di come i benefit siano passati da strumenti standardizzati a soluzioni sempre più personalizzate, grazie all’ascolto attivo delle esigenze dei dipendenti e all’uso di piattaforme digitali. Relatori e relatrici hanno sottolineato l'importanza di costruire un ecosistema aziendale basato sulla flessibilità e sull’inclusione, ma hanno anche posto l’accento su una criticità diffusa: troppi dipendenti non conoscono o non sfruttano i benefit a loro disposizione. Servono quindi strategie di comunicazione più efficaci per favorire un reale engagement.
Il terzo e ultimo talk show, “La centralità del welfare nelle strategie di attraction e retention”, ha posto l’attenzione sulla crescente importanza del welfare come strumento di attrazione e fidelizzazione dei talenti. Tra le best practice emerse, il rafforzamento di benefit legati alla salute, al sostegno alla genitorialità e al benessere psicologico, aspetti ormai fondamentali per le nuove generazioni di lavoratori.
La sfida è coniugare ascolto e personalizzazione, superando l’approccio one-size-fits-all e costruendo soluzioni di welfare sempre più dinamiche, scalabili e in linea con le nuove esigenze del mondo del lavoro. Un welfare aziendale davvero efficace non solo migliora il benessere di lavoratori e lavoratrici, ma genera un impatto positivo sull'intera organizzazione, contribuendo alla sostenibilità e alla crescita nel lungo periodo. Durante l’evento hanno condiviso la loro esperienza le seguenti aziende: Altergon Italia, Atac, Eidosmedia, Fater, Fedegroup, Fendi, Hewlett Packard Enterprise, Philip Morris International, Procter & Gamble, Rheinmetall Italia, Ria Money Transfer e Tim. L’evento potrà a breve essere riascoltato su www.comunicazione.tv. L’appuntamento con il Welfare day si rinnova per il 2026, con l’obiettivo di continuare a tracciare il futuro del welfare aziendale in Italia.