Dopo i nomi dei primi indagati nell’inchiesta sui costi gonfiati, ora la storia infinita della Metro C di Roma coinvolge direttamente anche i due ex sindaci della Capitale Gianni Alemanno e Ignazio Marino. Ci sono anche loro tra le 32 persone a cui la Corte dei Conti del Lazio contesta un danno erariale da 253 milioni di euro. Per questo venerdì mattina hanno ricevuto dai Finanzieri del Comando Provinciale di Roma, su mandato della procura regionale della magistratura contabile, gli inviti a dedurre, equivalenti a un avviso di garanzia. Il provvedimento notificato riguarda il riconoscimento indebito di oltre 230 milioni da Roma Metropolitane al general contractor Metro C – l’associazione di imprese che si è aggiudicata l’appalto, composta da Astaldi, Vianini Lavori del gruppo Caltagirone, Consorzio cooperative costruzioni e Ansaldo Sts – nell’ambito dell’accordo transattivo dell’8 giugno 2011.

In particolare, secondo Repubblica Roma, il pm della Corte dei Conti Paolo Crea ritiene che il comportamento di Marino sia stato “determinante“, in quanto era “a conoscenza della transazione concordata nel 2011 tra la stazione appaltante Roma Metropolitane e il contraente generale Metro C”. E, nonostante il parere contrario dell’ufficio di revisione economico-finanziaria del Campidoglio, avrebbe dato il via libera ai pagamenti nella giunta del 25-26 ottobre 2013. Il placet di Marino, secondo il quotidiano romano, arrivò assieme a quello del suo ex assessore ai Lavori pubblici Guido Improta, già indagato dalla procura di Roma per l’affaire della metro insieme all’ex capostruttura di missione del ministero delle Infrastrutture Ercole Incalza.

Le indagini delle Fiamme Gialle del II Gruppo Roma, condotte su delega della Procura contabile a partire dal 2014, hanno portato ad acquisire atti e informazioni tra cui il procedimento arbitrale attivato nel 2007, il procedimento di formazione dell’atto transattivo del 2011, quello di attuazione della Delibera Cipe del 2012 e quello di formazione dell’atto dell’anno successivo. L’appalto era stato aggiudicato a Metro C per 2,2 miliardi contro un importo a base d’asta pari a oltre 2,5 miliardi di euro. Cifra poi lievitata a causa delle numerose varianti in corso d’opera e, come emerso già dal rapporto dell’Autorità nazionale anticorruzione dall’assenza di rilievi archeologici preventivi.

Dalla documentazione acquisita in due anni dai Finanzieri presso le società coinvolte, il Campidoglio, il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e il Cipe emerge il sistematico ricorso al “sistema delle riserve“, iscritte nel registro di contabilità per un ammontare pari a circa 1,4 miliardi di euro: per quella via Metro C non solo ha recuperato i ribassi offerti in sede di aggiudicazione della gara d’appalto ma si è anche assicurata ingenti risorse aggiuntive. Le anomalie riscontrate, che hanno comportato una consistente lievitazione dei costi, sono numerose.

I funzionari pubblici e gli ex primi cittadini, nonché i vertici e i tecnici di Roma Metropolitane e della Struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture che hanno ricevuto gli inviti a dedurre dovranno ora fornire alla magistratura contabile le loro deduzioni.

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