Pochi giorni fa ho seguito in aula la lettura della sentenza a carico di Cipriano Chianese, considerato l’inventore dell’ecomafia in Campania. Da giornalista e da cittadino campano. Dietro al vetro, nel luogo riservato al pubblico, c’erano comitati, attivisti, testimoni del disastro, ma anche del riscatto. Sono il vero stato nel vuoto delle istituzioni. Dopo la sentenza che ha condannato Chianese a venti anni, è emerso chiaro l’orizzonte per chi segue queste vicende da anni: monitorare i processi. Lo dovrebbero fare tutti, stampa compresa, ma non accade.
Le motivazioni della sentenza sono state depositate il 23 aprile 2015. Una sentenza, emessa dalla quarta sezione della Corte di Appello di Napoli. Dopo il ricorso per Cassazione presentato dagli avvocati degli imputati, secondo la legge, gli atti vengono “senza ritardo” trasmessi al giudice dell’impugnazione, ma al momento di quel plico, in Cassazione, non c’è traccia. La vicenda riguarda il processo a carico dei fratelli Pellini, tra quelli in corso, uno dei più importanti contro il sistema di inquinamento ambientale. In secondo grado, Salvatore, Cuono e Giovanni Pellini sono stati condannati a 7 anni per traffico illecito di rifiuti e disastro ambientale aggravato.
Il fascicolo del procedimento penale, al momento, non è approdato nella capitale presso la Suprema Corte di Cassazione. Tempi lunghi, carenza di personale, difficoltà dovute ai carichi di lavori, ma il risultato è che, ormai passato un anno dal deposito delle motivazioni della sentenza di appello, senza l’arrivo del fascicolo non è possibile fissare l’udienza e arrivare alla definizione del processo. Il rischio è che tutto finisca in prescrizione, soprattutto se la Cassazione dovesse decidere per l’annullamento con rinvio in Corte di Appello. L’allarme è stato lanciato da Alessandro Cannavacciuolo, la sua famiglia è parte civile nel processo. “Sono andato a Roma presso la segreteria della Cassazione per verificare l’arrivo degli atti, ma non c’era traccia e poi a Napoli dove abbiamo avuto la triste conferma”.
Un lungo giro, accompagnato dall’attivista Enzo Tosti, per capire l’iter del fascicolo dove dentro c’è un pezzo di vita e della lunga battaglia di Alessandro e della sua famiglia. L’avvocato di parte civile Mimmo Paolella, che ha seguito il processo insieme all’avvocato Giovanni Bianco, spiega: “E’ emerso dalle nostre verifiche che il fascicolo, per difetti di notifiche e altri adempimenti da svolgere, non è stato inviato in Cassazione, confidiamo che tutto avvenga nel più breve tempo possibile. La prescrizione sarebbe una vera e propria sciagura”. Proprio la sentenza di secondo grado ha riconosciuto il disastro ambientale aggravato a carico dei fratelli Pellini.
Alessandro Cannavacciuolo non perde la fiducia: “Noi siamo grati al lavoro dei giudici di secondo grado, proprio la quarta sezione, presidente Eugenio Giacobini, ha emesso una sentenza storica riconoscendo il disastro ambientale aggravato. Ora bisogna affrettare i tempi per evitare la prescrizione”. Proprio uno dei Pellini, intanto, è tornato in attività, socio in un’azienda che fa incetta di appalti pubblici, come denunciato proprio da ilfattoquotidiano.it.
L’inchiesta, denominata Carosello, avviata nel 2006 dalla Procura di Napoli, ha messo sotto accusa un sistema che ha provocato, secondo i giudici, un disastro ambientale nel territorio di Acerra, movimentando e scaricando illegalmente tonnellate di pattume di ogni genere.
La prescrizione cancellerebbe tutto questo. A distanza di un anno in Cassazione aspettano il fascicolo per fissare l’udienza e chiudere questa lunga vicenda giudiziaria.
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