Fiaccolata nella capitale per ricordare lo studente torturato e ucciso in Egitto. La famiglia denuncia che "non c'è stata la collaborazione premessa" da parte delle autorità egiziane. Amnesty: "Fermare ogni trasferimento di armi dall’Italia al Cairo"
Fiaccole accese attorno al Pantheon, a Roma, a sei mesi esatti dalla scomparsa di Giulio Regeni. Una manifestazione andata in onda alla stessa ora in cui lo studente friuliano spariva nel nulla in Egitto, organizzata per denunciare che “la verità è ancora lontana” e – come dice il portavoce di Amnesty International in Italia, Riccardo Noury – le istituzioni italiane non hanno fatto abbastanza.”Oggi – dice Noury -. questa richiesta di verità per Giulio, a sei mesi dalla sua scomparsa, è ancora attuale. È una richiesta che l’opinione pubblica, con milioni di persone, insieme ad istituzioni, organi di stampa, università e scuole hanno fatto proprie il giallo di Giulio”.
“Purtroppo – continua – non abbiamo constatato una generosità pari da parte delle istituzioni italiane, che si sono limitate a richiamare l’ambasciatore, in modo temporaneo, e non hanno dato seguito a quelle annunciate misure, graduali e progressive“. Una misura importante sarebbe “fermare ogni trasferimento di armi dall’Italia all’Egitto, dato che quelle armi sono servite a reprimere i diritti umani”, spiega sempre il portavoce di Amnesty. “Altre misure potrebbero essere adottate a livello internazionale, e l’Italia potrebbe esserne protagonista: serva un riesame dei rapporti di cooperazione tra l’Unione europea e l’Egitto e, in secondo luogo, all’interno delle Nazioni unite, cercare un qualche meccanismo applicabile nella convenzione Onu contro la tortura, come ad esempio l’arbitrato internazionale.
Alla manifestazione è intervenuta anche la madre di Giulio, Paola Regeni. “Grazie perché chiedete che sia fatta giustizia e verità e grazie per accendere l’attenzione per Giulio”, ha detto la donna in collegamento telefonico con il sit – in. I genitori di Giulio Regeni ringraziano in particolare la Procura di Roma per gli sforzi fatti al fine di fare luce sulla vicenda, sottolineando che “purtroppo ad oggi, dopo sei mesi, ancora non sappiamo perché nostro figlio è stato torturato e ucciso”. La famiglia Regeni denuncia che “non c’è stata la collaborazione premessa” da parte delle autorità egiziane, in particolare su un fascicolo aperto dalla procura del Cairo, e ricorda la persecuzione portata avanti nel frattempo a danno di diversi attivisti egiziani. “Il bilancio è molto magro, perché la mancata collaborazione – sostanziale, non formale – dell’autorità egiziane con la procura di Roma ha significato che non sono stati fatti passi avanti reali nelle indagini”, spiega Noury. Di certo c’è che i legami tra Regeni e il mondo sindacale egiziano davano fastidio al regime guidato dal generale Abdel al-Fatah Al-Sisi. E che esattamente sei mesi fa il giovane è stato seviziato e torturato.