“La verità è che vorrei fare questo mestiere per sempre”, dice il 21enne Jake Bugg, atteggiamenti da proto punk, aria da hipster maledetto (una volta si sarebbe parlato di “Teddy Boy”, ma i tempi sono cambiati) e sosia di Justin Bieber. Facile sperare quando neanche maggiorenne vieni messo sotto contratto da una major, che coi tempi che corrono equivale a esser miracolato.
Dopo i primi due dischi che ne hanno nutrito fama e talento, il giovane Jake, già ribattezzato dalla stampa inglese come il nuovo Bob Dylan (e mai paragone fu più esagerato), torna con On my one, un titolo che deriva da un’espressione tipica della sua città, Nottingham, dove si usa dire “on my one” anziché “on my own”, per indicare la formula “per conto mio”. Che poi corrisponde alla modalità in cui ha scelto di lavorare al disco. “L’ho visto come il passo logico successivo nel mio sviluppo come compositore. È stata una sfida, ma era una cosa che sentivo di dover fare”.
Registrato tra Nottingham, Los Angeles e Londra, è un disco che ha radici blues, ma a differenza dei precedenti presenta una commistione di generi, che a tratti può risultare eccessiva. Il che non è necessariamente negativo, anzi andrebbero incoraggiate l’audacia e la spavalderia mostrate dal giovane artista, che dal folk della title track al blues (Put out the fire) spazia tra i generi pop, elettronica (Gimme the love) e dietro l’influsso di Mike D dei Beastie Boys, di hip pop (Ain’t no rhyme) in modo talmente rozzo da risultare accattivante. Anche se le cose migliori restano quelle legate al suo stile originario, e non è un caso che il brano che dà il titolo al disco, assieme a Love, Hope And Misery siano i più apprezzabili dell’intero album. Intanto giunge la notizia che dopo la performance all’I-Days Festival del Parco di Monza, Jake Bugg si esibirà in un unico show all’Estragon di Bologna, fissato per il 1° dicembre 2016.