La partita aperta da Bolloré non lascia indifferente chi ha a cuore le sorti di Telecom Italia. Il pretesto per lo strappo è una nuova valutazione di Premium. E il titolo di Cologno crolla in Borsa
Con Vincent Bolloré in circolazione c’è poco da stare sereni. A Cologno Monzese come a Roma. Mentre il governo di Matteo Renzi si prepara a chiudere il cerchio sulla banda ultralarga grazie all’Enel, il finanziere bretone, socio di maggioranza di Telecom Italia, sferra l’attacco su Mediaset. E fa sapere che non ha alcuna intenzione di rispettare gli impegni presi lo scorso 8 aprile secondo i quali sarebbe dovuto diventare socio della famiglia Berlusconi con una quota del 3,5% di Mediaset e acquisire il 100% di Premium dando in cambio il 3,5% della sua Vivendi.
Con un tempismo degno del passato da raider di Borsa, Bolloré ci ha ripensato perché ritiene ci siano “delle differenze significative nell’analisi dei risultati della filiale della pay tv Mediaset Premium”, come spiega una nota del gruppo francese. Di qui la nuova proposta del finanziere bretone che, confermando lo scambio del 3,5% del capitale fra Vivendi e Mediaset, rifiuta il 100% di Premium come pagamento. E chiede invece come contropartita un convertendo che permetta a Vivendi di arrivare a detenere in 3 anni circa il 15% del capitale di Mediaset, oltre al 20% della pay tv.
Per Cologno Monzese che ha assistito al crollo di Mediaset in Borsa (-7% il saldo alla fine di una giornata di passione) si tratta di una proposta indecente che, a termine, mette anche in discussione la minoranza di blocco (34%) attualmente nelle mani della Fininvest, la cassaforte della famiglia Berlusconi che controlla Mediaset. L’offerta di Vivendi “muta la valenza industriale alla base dell’accordo per incidere significativamente sull’assetto del capitale di Mediaset” come sottolinea una nota del Biscione. E’ inoltre “una novità assoluta e non concordata” sulla quale il cda si esprimerà ufficialmente il 28 luglio, ma che sin d’ora lascia presagire un lungo contenzioso legale il cui epilogo è assai incerto. Sul piatto della bilancia, i francesi mettono infatti i risultati poco confortanti di Premium e le tensioni di mercato eccezionali nel post-Brexit. Gli italiani invece evidenziano come nell’intesa fra Vivendi e Mediaset non era prevista alcuna clausola di rinegoziazione sulla base della performance della pay-tv.
Ma, se le cose stanno in questi termini, per quale ragione Vincent Bolloré avrebbe deciso di rompere gli accordi con la famiglia Berlusconi rischiando un contenzioso legale dal valore che le prime stime ufficiose calcolano in 1,5 miliardi? Le motivazioni sono economiche, ma al tempo stesso di opportunità politica perché se da un lato l’industriale bretone ha stretto accordi con Berlusconi, dall’altro non riesce a far quadrare il suo investimento in Telecom Italia, il cui destino è legato a doppio filo con i piani sulla banda ultralarga del governo Renzi. Finora l’ex monopolista ha puntato a conquistare la società milanese della fibra Metroweb, controllata dal fondo F2i e dalla Cdp. L’obiettivo di Telecom era infatti mantenere in vita una posizione dominante sul mercato italiano delle telecomunicazioni. Il piano però non è andato in porto. Nei prossimi giorni Metroweb confluirà infatti nel progetto della banda ultralarga dell’Enel, benedetta da Renzi. A Bolloré resterà l’arduo compito di rimettere in sesto Telecom in uno scenario di mercato molto aggressivo e ostile agli ex monopolisti come testimonia il fatto che persino la liberale autorità inglese Ofcom ha appena intimato a Bt la separazione dell’infrastruttura in rete dai servizi di telefonia.
Il risanamento di Telecom, che passa peraltro per pesanti tagli, non è affatto facile ed è reso ancoro più complesso dalla scelta del governo italiano di lasciare Telecom al suo destino di azienda privata su cui lo Stato non può e non deve intervenire. Cionostante Bolloré sa bene che non tutto è perduto: un’apertura del governo Renzi, grazie magari all’intercessione di Berlusconi, può infatti nuovamente cambiare le carte in tavola. Non a caso il presidente di Vivendi, Arnaud DePuyfontaine, è stato sempre vago sul futuro dell’ex monopolista aprendo persino all’ipotesi di un’aggregazione fra Telecom e Mediaset sotto la regia francese. Insomma, lo scenario è ben più ampio della sola partita Premium. Anche perché Bolloré, non solo è socio di maggioranza di Telecom, ma è anche il secondo azionista di Mediobanca, il salotto buono della finanza italiana in cui l’industriale bretone ha un notevole peso. Prova ne è il fatto che è riuscito a far nominare un suo uomo di fiducia, Philippe Donnet, ai vertici delle assicurazioni Generali, la controllata di Mediobanca da sempre nel mirino della rivale francese Axa.
Non solo: a Parigi corre voce che Bolloré abbia avuto un ruolo dietro le quinte per sostenere la nomina dell’ex manager dei derivati Société Générale, Philippe Mustier, ai piani alti di Unicredit, che ai tempi di Alessandro Profumo era ambita dal primo istituto di credito d’Oltralpe, Bnp Paribas. Sono forse questi tutti tasselli di uno stesso mosaico in cui la grandeur francese si fa spazio in un Paese con un governo debole alle prese con una crisi bancaria senza precedenti? Forse. Se così fosse, il vecchio e ormai defunto banchiere di Lazard, Antoine Bernheim, ci avrebbe ancora una volta visto giusto. “Non è che l’inizio” (“Ce n’est pas que le début”), aveva confidato alla stampa internazionale quando il suo pupillo Bolloré lo aveva defenestrato dai vertici delle Generali per fare spazio a nuove alleanze necessarie alla campagna d’Italia del raider bretone. Da allora sono passati diversi anni e Bolloré è sempre più presente sulla scena finanziaria italiana. E anche su quella politica attraverso quel filo sottile che inevitabilmente lega l’industria dei media di Berlusconi, quella delle telecomunicazioni e le scelte di un governo alla continua ricerca di equilibri politici per evitare le urne.