La Costituente, prima di approvare il testo, lo fece rileggere a scrittori e letterati per renderlo più semplice e chiaro a tutti, con periodi lunghi in media 20 parole. Per De Mauro è l'unico testo comprensibile alla stragrande maggioranza degli italiani. Il testo della riforma Renzi-Boschi ha articoli di oltre 300 e 400 parole. In un caso si è passati da 9 a 439 e il punto arriva dopo oltre 170 vocaboli
Articolo 1: l’Italia è Repubblica democratica, fondata sul lavoro. I 556 della Costituente l’avevano scritto così, forse solenne ma bruttino. Una, mancava una, una Repubblica. A mettere un colpetto di matita dopo la quarta parola della bozza di Costituzione uscita nel 1947 non fu un giurista né un funzionario del ministero né un
Nel 2011 – molto prima che Matteo Renzi diventasse presidente del Consiglio e molto dopo la bocciatura delle riforme di Berlusconi – il presidente emerito della Corte costituzionale, Gustavo Zagrebelsky, suggerì che i primi due articoli di ogni legge costituzionale dovrebbero essere sempre: “Articolo 1: ogni norma legislativa deve essere formulata in maniera completa, comprensibile e senza rimandi. Articolo 2: l’inosservanza dell’articolo precedente comporta la incostituzionalità della norma”. Ancora prima, nel 2008, il linguista Tullio De Mauro – invitato al Senato a parlare della Costituzione più bella – spiegò che “l’ideale sarebbe scrivere frasi con
Come fosse il Monologo di Molly Bloom, la parte della Costituzione che aspetta di essere confermata o bocciata nel referendum di autunno, ha articoli di 323, 438, 439 parole. Quasi l’equivalente dell’intero testo della Carta attuale, che contiene 1357 vocaboli. L’articolo 70 – che parla del funzionamento del Parlamento ed è l’applicazione dell’abolizione del bicameralismo perfetto – oggi è composto da 9 parole: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”. La riforma istituzionale che porta il nome del ministro Maria Elena Boschi ne aggiunge 430. Quell’articolo riesce a citare, tutti in fila, 9 tra commi di altri articoli della Carta, senza dire di cosa parlano. In un caso non si trova un solo punto per la lunghezza di 173 parole. Per leggere la possibile nuova Costituzione, insomma, non basterebbe un professore di diritto: servirebbe anche uno pneumologo per leggerla fino in fondo. “Di solito chi ha idee chiare le esprime in maniera chiara” ha già spiegato nei mesi scorsi Ainis, consigliando ai riformatori di rileggere i classici. Dell’articolo 70, messa da parte la complessità formale, a un certo punto sfugge il senso per colpa dell’italiano.
L’espansione della Carta è dovuta anche al fatto che – forse per paura di poca chiarezza – ripete due volte le stesse cose. Il giudizio preventivo della Corte costituzionali sulle leggi elettorali compare sia all’articolo 73 sui poteri di promulgazione del presidente della Repubblica (per il momento spiegato con tre frasi) sia all’articolo 134 dedicato alla Consulta. L’articolo 70 – sulla formazione delle leggi – non solo si espande, ma si intreccia:
Ogni disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati è immediatamente trasmesso al Senato della Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato della Repubblica può deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera dei deputati si pronuncia in via definitiva. Qualora il Senato della Repubblica non disponga di procedere all’esame o sia inutilmente decorso il termine per deliberare, ovvero quando la Camera dei deputati si sia pronunciata in via definitiva, la legge può essere promulgata. L’esame del Senato della Repubblica per le leggi che danno attuazione all’articolo 117, quarto comma, è disposto nel termine di dieci giorni dalla data di trasmissione. Per i medesimi disegni di legge, la Camera dei deputati può non conformarsi alle modificazioni proposte dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei suoi componenti, solo pronunciandosi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei propri componenti. I disegni di legge di cui all’articolo 81, quarto comma, approvati dalla Camera dei deputati, sono esaminati dal Senato della Repubblica, che può deliberare proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data della trasmissione
Lo Statuto Albertino, 1848, 168 anni fa, regolava la legislazione così: “Ogni proposta di legge debb’essere dapprima esaminata dalle Giunte che saranno da ciascuna Camera nominate per i lavori preparatorii. Discussa ed approvata da una Camera, la proposta sarà trasmessa all’altra per la discussione ed approvazione; e poi presentata alla sanzione del Re. Le discussioni si faranno articolo per articolo”.
Joyce non c’entra, dunque. I partiti che si propongono di riformare le istituzioni hanno scritto la nuova Costituzione come se fosse una legge come le altre. E le altre leggi, tendenzialmente, sono scritte male. Zagrebelsky non si stanca mai di ricordare l’articolo 111, riformato nel 1999, cosiddetto del “giusto processo”. Lì ci sono “retorica, linguaggi cifrati e il contemporaneo svuotamento dei contenuti normativi”. Ma anche un vero e proprio errore lessicale. Il 111 dice che “La giurisdizione si attua attraverso il giusto processo”. “Ma la giurisdizione si esercita, non si attua – dice l’ex presidente della Consulta – Perché altrimenti diventa un concetto metafisico. Di sicuro, però, gli artefici non pensavano ad Aristotele o a San Tommaso. Pensavano forse a qualche amico degli amici”.
La linguista Bice Mortara Garavelli, parlando di testi di giustizia, l’ha definita “complicazione indiscreta”: “Indebita complessità sintattica e profonda oscurità semantica”. Il referendum, per Zagrebelsky, è su “un testo scritto malissimo. In certe parti contraddittorio e incomprensibile. La chiarezza, per una Costituzione, è anche un fatto di democrazia”.
Un linguaggio che ha bisogno dell’interprete, qualcuno che sciolga il dubbio. “La parola formulare e magica del giurista sacerdote e stregone dell’antico diritto romano sopravvive ancora oggi – scriveva sempre Carofiglio – E’ lo strumento attraverso il quale i giuristi poco consapevoli della responsabilità democratica del loro lavoro (o troppo consapevoli del loro potere e dell’aspirazione a conservarlo) s’identificano in casta“. E le leggi da interpretare sono sempre pericolose: “Le nostre leggi oscure – aveva anticipato tutti Cesare Beccaria oltre tre secoli fa – finiscono con l’essere benevolmente interpretate se alla porta bussa un amico e viceversa applicate in modo rigido ai nemici e ai forestieri”. Perché le leggi scritte “in una lingua straniera al popolo” lo pongono “nella dipendenza di alcuni pochi, non potendo giudicar da se stesso qual sarebbe l’esito della sua libertà”. La differenza tra cittadini e sudditi.
Anche per questo i costituenti – classe dirigente e non casta – non accettarono tutte le modifica del professor Pancrazi. All’articolo 3 (“E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli…”) sostituì “compito” con “ufficio”. I 556 ringraziarono e lasciarono che quell’articolo, quello sull’uguaglianza dei cittadini, fosse il più chiaro possibile a tutti.