PISTOIA – “La vita è il treno, non la stazione ferroviaria” (Paulo Coelho)

Un passo indietro. Carpiato. Ritorno al passato. Sembrava che la fase Tappa per Gli Omini fosse definitivamente conclusa con l’aprirsi di quest’ultimo biennio, con l’infornata della famiglia Campione o Ci scusiamo per il disagio o ancora con il recente parto Più carati. Uscendo dal provincialismo erano riusciti a mantenere la barra dritta creando e sottolineando questa figura ibrida, letteraria, grottesca, terrena e fangosa, di uomini medi e grigi, persone al limite, sul limbo, fragili che solo uno spiffero di vento avrebbe potuto far crollare, appesi a piccole deboli certezze costuitesi negli anni.

Il Progetto tappa li aveva fatti conoscere, girare per l’Italia e affinare la loro capacità di scrittura veloce, di apprendimento di un luogo e di restituzione immediata cercando di pennellare un Paese con il suo passato, le sue crisi, i suoi down e momenti di passaggio nella storia attraverso gli occhi e le parole dei suoi abitanti, attraverso la memoria collettiva sedimentata. Quel lungo momento di studio, di raccolta della memoria sul campo per farne drammaturgia, quella essenziale e funzionale stagione di approfondimento nella materia umana era stata necessaria per arrivare alla maturazione esplosa con La famiglia Campione dove, finalmente, gli standard, i caratteri, i modi, le abitudini, i pensieri, generazionali, anagrafici, politici e comportamentali reali, con quel quid posticcio di sarcasmo spinto bizzarro, venivano digeriti e tritati in una pasta scenica dove la finzione esaltava le verità che avevano pazientemente ascoltato negli anni precedenti di incontri, case del popolo, appunti fugaci, canovacci, comuni sperduti su e giù per lo stivale.

Non comincia bene l’avventura del secondo momento della Trilogia T, teatro-treno-transappenninica, La corsa speciale: il ricordo dell’incidente ferroviario in Puglia è ancora fresco e non se ne fa accenno, le carrozze che ci portano su, da Pistoia alla piccola frazione di Castagno, sono nuovissime e tolgono quella patina d’attesa di ruggine e polvere, di locomotive e nostalgia. Anche qui un binario unico taglia la montagna. Siamo accanto al tunnel. Manca la voce di Trenitalia che nel primo episodio si era elevata a personaggio vero e proprio, quasi un Dio che comunicava con i suoi sudditi e sottoposti ingenui attraverso l’altoparlante dando consigli e coordinate, input e incipit.

LA CORSA SPECIALE Gli Omini (foto Emiliano Pona)

Se nel primo, Ci scusiamo, faceva la sua apparizione un piccione, qui sembra un rapace quello che si mostra, con testa di cartapesta e becco pronunciato (immagine collodiana) e che spiega, introduce, rintuzza fuorviando il discorso, allontanandoci, portandoci via in altre direzioni di senso. Un falco inquietante, malvagio e abietto che sprizza parole che mal si conciliano e compenetrano con il resto, con il mosaico-patchwork consueto di figure al limite portate all’emersione dai tre Omini in campo. Che poi viene da chiedersi se intorno a noi vi siano soltanto border line da poter tratteggiare, spostati, scemi del villaggio (un’altra domanda: perché usare i microfoni se siamo cento spettatori e a ridosso della scena?). Ci scusiamo aveva un tappeto di sottofondo universalmente sentito, si parlava di depressioni e di vite sprecate, sbagliate, ad attendere oppure a veder partire gli altri e mai i tuoi progetti, imbrigliati dalla paura, dalle scelte non fatte, i bivi bucati, le strade non percorse.

In Ci scusiamo c’eravamo tutti noi con i nostri quotidiani dissesti emotivi interiori. In questo La corsa speciale invece il mondo si chiude, appunto con un salto all’indietro, tornando a quel piccolo mondo antico dal quale gli Omini erano fuggiti, portandosi nello zaino soltanto i germi di quella umanità, (tra)lasciando, come le briciole di Pollicino, le minuzie concrete di un luogo che non aprono la discussione-riflessione ma la bloccano alle colline lì attorno, la arginano senza vie di fuga, la sbarrano ai confini minimali di quel territorio senza possibilità di aperture mentali. Se Famiglia e Ci scusiamo erano un trampolino che dal particolare si lanciava verso il generale, qui il discorso si ingabbia su se stesso, va e torna a circuito chiuso, come un vortice fa tanti piccoli cerchi che cercano l’uscita dal paese mancando la chiave di lettura che li conduca oltre.

la corsa speciale Omini Associazione Teatrale Pistoiese_MG_5007lorenzo gori (7)

Il mosaico dei personaggi che si affastellano non riescono a scalfire se non la superficie, sono pennellate che lasciano qualche risata che perde l’eco nel bosco: la badante dell’est, quello con l’ossessione dei treni, l’anziano arteriosclerotico, in un palleggio che manca di collante tra un quadro e l’altro. L’uomo innamorato con il mazzo di fiori sulla banchina, il poeta amatoriale campano (emulazione del primo Lello Arena?), la donna di Modena, il signore fissato con Second Life, la coppia con lei incinta, il fumatore incallito. Una summa di figure periferiche che mancano del tragico, un racconto disequilibrato (soprattutto nell’altalena con il falco e le sue verità acide mefistofeliche), slacciato, sfilacciato.

“Le ferrovie sono qualcosa di sorprendentemente silenzioso, quando non ci passa sopra il treno”. (Haruki Murakami)

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