Il 17 luglio il titolo del mio post poneva la questione sul tipo di Stato che il presidente turco Erdogan avrebbe costituito dopo il tentativo di colpo di golpe. L’interrogativo poneva implicitamente la questione se il tutto non fosse stato in realtà organizzato dallo stesso potere in carica per avere in seguito le mani libere.
Senza voler cadere in spiegazioni complottiste e tutto sommato semplicistiche, è un dato di fatto che il governo sia venuto a conoscenza del tentativo di colpo di Stato ben prima che si mettesse in atto e che con una accorta regia abbia lasciato fare sino a quando tutti i pesci non fossero caduti nella rete. Un’altra considerazione che farebbe pensare ad un’azione ben concertata è il fatto che erano pronte le liste di proscrizione: 50.000 persone sono state arrestate, licenziate dal loro impiego, mettendo in atto un lavoro di lavanderia generale solamente per l’esercito e la magistratura. Infine si parla di 15.000 funzionari sospesi del ministero dell’Istruzione e le dimissioni forzate di tutti i rettori delle Università. In questo quadro Erdogan ha annunciato che per tre mesi in cui sarà attivo lo stato di emergenza, verranno sospesi i benefici della Convenzione europea dei Diritti dell’uomo. Inoltre, le libertà di manifestazione sono soppresse, un numero consistente di scuole che secondo il governo si rifacevano alla filosofia del nemico e ispiratore del golpe, Fethullah Gülen, chiuse.
Inoltre Erdogan tiene in vita la narrazione secondo la quale potrebbe verificarsi un altro colpo di Stato, massima attenzione quindi e misure draconiane per prevenire ogni contraccolpo golpista: se il parlamento è d’accordo ripristino della pena di morte.
A dimostrazione della supremazia del suo potere, il presidente turco ha vietato le esequie religiose per i caduti in combattimento. I muezzin che con i loro megafoni avevano invitato la gente a scendere per strada per difendere il governo, devono sapere chi effettivamente comanda in Turchia. Tutto ciò appare come un grande tentativo di rimodellare una società e finalmente sapremo cosa intendeva Erdogan per conciliazione tra Islam e democrazia. Ora le figlie che portano il velo non avranno più bisogno di studiare nelle università in cui tale diritto è garantito; potranno studiare in Turchia dove non saranno più ammesse le donne senza velo.
L’islamizzazione della società è il sogno di ogni dittatore. Vi ricordate del presidente egiziano Morsi e dei tentativi falliti di conformare la società ai principi della sharia? Ancora una volta si manifesta l’ambizione di Erdogan di presentarsi al mondo arabo come un portatore di un modello di Stato. Poco importa se sarà costretto a fare a meno delle garanzie democratiche con buona pace dell’Unione europea e della Nato. Manca un ultimo passo. Istituzionalmente deve trasformare la Carta costituzionale in un regime presidenzialista, una riforma a cui manca l’appoggio dell’Akp, il partito di Erdogan, più di 50 voti. A cosa serve il richiamo di una possibile continuazione di golpe se non a trovare consensi presso gli oppositori a questo cambiamento costituzionale?