Musica

Steven Tyler, l’esordio solista a 68 anni: parlare male dell’album non si può, solo perché lui ha (sempre) una voce incredibile

Tyler tenta un esordio in ambito country mossa che è parsa assai poco azzeccata

di Michele Monina

Sessantotto anni. Prima o poi toccherà davvero fare i conti con questo fatto che le rockstar, quelle che più hanno segnato la storia del rock e non solo le cronache coi loro eccessi, stanno invecchiando. Molte, questo 2016 così funesto se le è portate via, ma ce ne sono alcune che, come a voler esorcizzare un momento particolarmente doloroso, hanno deciso di partire con un nuovo progetto, di rinascere a nuova vita. E dire che di vite, Steven Tyler, è di lui che stiamo parlando, ne ha già vissute parecchie, anche piuttosto movimentate.

Cantante e leader degli Aerosmith, gruppo hard rock di Boston che da oltre quarant’anni anima la musica in quattro quarti, Tyler ha nel corso della sua vita toccato picchi altissimi e discese in baratri senza fine. Dopo aver rivaleggiato coi più grandi negli anni Settanta, la storia degli Aerosmith sembrava segnata per sempre, finita nelle maglie della tossicodipendenza. I primi anni Ottanta li vedevano come dei fantasmi, Tyler, Joe Perry, uno degli assi della chitarra elettrica più potenti di sempre, e soci, ma poi nel 1986 è arrivato il duetto con i Run DMC, che hanno riportato la loro Walk This Way in vetta alle classifiche di mezzo mondo.

Da lì la rinascita, con Permanent Vacation, album trainato da Rag Doll, e poi Pump, Get a Grip e tutti gli altri, con la musica che si è spostata dall’hard rock degli esordi, vicino quasi all’heavy metal, in un terreno decisamente più docile, quello AOR, il rock da radio tipico degli USA. Nel mezzo Tyler si è reincontrato con sua figlia Liv, nata da una sua fugace relazione extramatrimoniale con la groupie Bebe Buell e inizialmente riconosciuta da Todd Rundgren. Insomma, il buon Steven non si è fatto mancare niente. Compreso un ritrovato successo, anche personale, che nel corso degli ultimi anni lo ha visto approdare a American Idol, col ruolo di coach.

E oggi, a sessantotto anni, ecco l’esordio da solista. E non un esordio qualsiasi, trattandosi di Tyler non potrebbe essere mai così, ma un esordio in ambito country. Sì, Steven si è recato a Nashville, la patria del country e ha voluto lavorare con il top dei produttori, su tutti T Bone Burnett e Jaren Johnston, e session man sul mercato. Sul perché un vecchio rocker, con una voce che scivola spesso sul bluesy si sia deciso a esordire flirtando col country ci sarebbe da porsi qualche domanda, ma è stato lo stesso Tyler a spiegare che la sua scelta è caduta su quella che viene considerata la musica tradizionale americana per antonomasia perché secondo lui il country è il nuovo rock ‘n’ roll. Bella mossa, fosse arrivata una ventina di anni fa. Oggi, onestamente, sembra un po’ fuori tempo massimo. Da Nashville sono già passati tutti, ma proprio tutti tutti, da chi ci è addirittura nato artisticamente, come Johnny Cash, da tempo scomparso, a Taylor Swift, con in mezzo Jack White, il nostro Zucchero e i Black Keys. Insomma, davvero tutti tutti.

Quindi la mossa è parsa assai poco azzeccata, e se del disco non si può parlar male è solo perché Tyler ha una voce incredibile e anche quando approccia canzoni non indimenticabili le riesce a dotare di una grazia che solo in pochi hanno in dono. A partire dalla ballad con cui l’album parte, My Own Worst Enemy, in realtà più aerosmithiana che country, via via fino a arrivare Love is your Name, Ain’t Easy e Somebody New, i brani più fedeli al canone country. I due brani che risultano i migliori della covata sono We’re All Somebody From Somewhere, Aerosmith era Pump al 100% e Sweet Louisiana, il brano country perfetto, il peggior senza ombra di dubbio Red, White & You, una canzone con delle liriche di una bruttezza imbarazzante, come neanche la moglie di Donald Trump avrebbe potuto pronunciare a Cleveland. Senza infamia e senza lode la cover di Janie’s Got a Gun degli Aerosmith, perché già era bella in partenza. Insomma, Steven Tyler tenta una nuova vita e lo fa sbagliando strada ma incontrando involontariamente, grazie al proprio talento e alla propria voce, un album che poi così male non è. Da ascoltare in attesa, magari, che Joe Perry si riprenda dai suoi acciacchi e gli Aerosmith tornino a fare buona musica come solo chi ha visto la tana del diavolo sa fare.

Steven Tyler, l’esordio solista a 68 anni: parlare male dell’album non si può, solo perché lui ha (sempre) una voce incredibile
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