“Potrebbero emergere dei legami tra l’organizzazione terroristica dei seguaci di Fethullah (Gulen) e l’Isis“, a dirlo è Efkan Alan, ministro dell’Interno turco. Gulen, che si trova in esilio negli Stati Uniti, è stato ripetutamente accusato dal governo turco di essere la mente del fallito golpe. In questo senso il primo ministro turco, Binali Yildirim è tornato alla carica criticando l’amministrazione Obama per non aver ancora proceduto all’estradizione del religioso, la cui “setta terrorista“, ha sottolineato, è “responsabile di violenti attacchi contro il popolo turco”. “Siamo affranti dal modo in cui gli Usa hanno affrontato la questione – ha detto – Semplicemente non riusciamo a capire perché gli Usa non ci consegnano questo individuo”. Gulen, dal canto suo, in una lettera aperta pubblicata dal New York Times, ha ribadito la sua estraneità al golpe, sostenendo che il “dittatore” Erdogan “sta ricattando gli Stati Uniti, minacciando di ritirare il sostegno del suo paese alla coalizione internazionale contro lo Stato islamico”. Secondo il predicatore, Erdogan punta alla sua estradizione “nonostante la mancanza di prove chiare e nessuna prospettiva di giusto processo”. In Turchia, intanto rimane sospesa la questione della pena di morte, con il ritorno alle condanne capitali più volte evocato da Erdogan.
Nel frattempo non si fermano le epurazioni del presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan. E dodici giorni del fallito tentativo di colpo di Stato messo in campo dall’esercito, i giornalisti tornano nel mirino del Sultano. Un nuovo mandato d’arresto è stato infatti emesso per 47 reporter: sono accusati di avere legami con la rete di Fethullah Gulen, l’imam e magnate che per Ankara è il regista del tentato golpe. Tra i 47 giornalisti ci sono molti ex cronisti del quotidiano Zaman, sequestrato a inizio marzo. In manette è già finito il noto editorialista Sahin Alpay. Della lista fanno parte anche gli ex direttori dell’edizione inglese del giornale, Bulent Kenes e Sevgi Akarcesme. Il 25 luglio scorso erano stati arrestati altri 42 giornalisti.
Colpito di nuovo anche il mondo accademico. Almeno 32 professori universitari e 5 membri del personale amministrativo sono stati rimossi dall’università Afyon Kocatepe, nell’Anatolia occidentale. A comunicarlo è stato lo stesso ateneo, che spiega come i docenti siano a loro volte accusati di presunti contatti con la rete Gulenista. In totale, nelle purghe seguite al fallito putsch, sono stati allontanati finora almeno 1.617 dipendenti di 41 università turche, mentre 234 accademici sono stati arrestati. Inoltre, 15 atenei sono stati chiusi.
La conta degli arresti, invece, ha ormai superato quota 13.200 persone. Tra queste, 5.863 sono quelle di cui il fermo è stato già convalidato. Si tratta di 8.838 militari (tra cui 123 generali e ammiragli), 2.101 magistrati, 1.485 poliziotti, 52 autorità amministrative e 689 civili. Riepilogando le cifre degli enti “confiscati dallo Stato”, le autorità hanno chiuso 934 scuole, 15 università, 109 dormitori studenteschi, 19 sindacati, 104 fondazioni, 1.125 associazioni e 35 strutture sanitarie. In totale tra persone rimosse e arrestate, si calcola che ormai Erdogan abbia ordinato l’epurazione di più di 80 mila persone: un vero e proprio contro golpe. Per tutti l’accusa è sempre la stessa: presunti contatti con Gulen, considerato il nemico numero uno di Erdogan, che vive in autoesilio in Pennsylvania dal 1999, e per il quale Ankara ha chiesto l’estradizione agli Stati Uniti.