Ghostbusters versione 2016, il titolo è identico all’originale dell’84 quindi va messa la datazione, verrà ricordato soprattutto per la schifosa polemica sui social scatenata contro l’attrice afroamericana Leslie Jones, una delle quattro acchiappafantasmi del film. Rivoltanti insulti razzisti da Ku Kux Klan, ovviamente extratestuali, addirittura con gif dove l’attrice veniva disegnata come una scimmia, che hanno portato prima la Jones a chiudere il proprio profilo Twitter, e il regista del film, Paul Feig, a prendere le difese della donna sostenendo che attaccando lei attaccavano tutti i membri del cast e della troupe.
Dicevamo, appunto, che il becero dato di cronaca è ciò che rimarrà in mente attorno ad un reboot che non ha granché da mostrare. La trovata del cast al femminile è apparentemente l’elemento di sprono per andare a vedere Ghostbusters 2016. Cioè Melissa McCarthy, Kristen Wiig, Kate McKinnon e Leslie Jones al posto di Bill Murray, Dan Aykroyd, Harold Ramis, e Ernie Hudson. Una volta in sala, però, lo sfarfallante effetto fotocopia dell’originale, anche se le tute da acchiappafantasmi le indossano quattro donne invece di quattro uomini, diventa una zavorra pesante che trascina puntualmente a fondo dopo ogni sequenza in cui si spera in un guizzo, in un’invenzione, in un dettaglio differente da ciò che già abbiamo visto del franchise Columbia sugli acchiappafantasmi. Non cambia molto se a farsi licenziare dalla Columbia University perché crede più al paranormale che alla scienza sia solo la Wiig invece di Murray/Aykroyd/Ramis; se il primo fantasma si incontra in una biblioteca antica piuttosto che in un maniero d’epoca. Feig e Katie Dippold più che la tastiera del pc devono aver usato la carta carbone per scrivere la sceneggiatura di Ghostbusters 2016 con sotto lo script di Aykroyd e Ramis dell’84.
Così vedere questo reboot è come rivedere con qualche piccolo accorgimento lo scorrere di situazioni e personaggi, persino inquadrature approssimative, che ricalcano l’originale. Il timing di battute, turning point, apparizioni e sparizioni, scene di massa, scena clou con l’arrivo delle acchiappafantasmi in mezzo alla folla è una continua scopiazzatura del capostipite. Per capirci ancora meglio se invece di un sequel dei Blues Brothers avessero girato un reboot con due donne vestite di nero ad ordinare tre polli fritti invece di quattro, e del pane tostato bianco con uova invece che liscio, cosa avreste detto? Non avreste levato le tende uscendo furibondi dalla sala? Ma soprattutto: vi sareste chiesti il perché di questo impercettibile slittamento senza motivo quando si può tacere o, che so, stravolgere la matrice?
Lo spunto modello girl power poi è sulla carta spiritoso e coraggioso, ma nello svolgimento rimane una sintesi drammaturgica tra humor vagamente misogino ed insignificanti, mosci particolari di dialogo e postura per delineare i caratteri delle protagoniste: l’inadeguatezza di Erin – la Wiig – come prof che si manifesta con balbettii e smorfiette; l’intraprendenza un po’ ottusa di Abby – la McCarthy – che si ripete con lo sketch nell’ordinare cibo da asporto; i saltellii da scienziato pazzo di Jillian – la McKinnon. Anche uno spunto semplice come il supposto rapporto sentimentale tra due protagonisti viene banalizzato in momenti imbarazzanti. Nell’84 c’era quello stralunato e divertente (il bacetto finale è storia) tra Bill Murray e Sigourney Weaver; mentre qui assume le sembianze di una ridicola rappresentazione del maschio bellone e tonto (Chris Hemsworth che si presta nella parte del segretario/telefonista imbranato) che se venisse sfottuto con arguzia dalle protagoniste avrebbe anche un senso di emancipazione culturale e di genere, ma adorato così con gli occhioni dolci della Wiig a fargli da contraltare rasenta la pena. Cosa si salva di Ghostbusters 2016? Il tema musicale cantato da Ray Parker Jr. Anzi no, anche quello è identico all’originale, se non per qualche insignificante arrangiamento di band che si immolano per la causa. Non mancano i cameo di Aykroyd, Murray e Hudson. Ramis non c’è più. E forse non aver visto il reboot è l’unica sua fortuna da quando è finito nei pascoli dell’aldilà.