Attualità

In tempi di terrore dobbiamo indignarci per l’orso chiuso in una teca?

I benaltristi diranno che con tutti i problemi che abbiamo, con i terroristi che ci sgozzano, la crisi economica che ancora non è del tutto finita e tutto il resto, non possiamo permetterci di preoccuparci più del dovuto degli animali. Ecco, a chi sottovaluta l’argomento, dimostrando una insensibilità che di umano ha pochissimo e nasconde evidentemente un’indole pericolosa, vorremmo mostrare il breve video di un minuto che Animal Asia, associazione animalista con sede a Hong Kong, ha girato in un centro commerciale di Guangzhou, in Cina.

Nel filmato si vede l’espressione triste, depressa, disperata di un esemplare di orso bianco, mascotte del centro commerciale e prigioniero in una teca di vetro a uso e consumo dei clienti, che molto spesso scattano selfie assieme all’affranto animale. Sono immagini semplici, di bassa qualità, eppure posseggono una carica emotiva incredibile: quell’espressione, quegli occhi velati, quel mal di vivere che sciocca l’osservatore umano, proprio perché umanizza l’animale, lo rende più simile a noi.

Eppure quell’orso polare è lì, dietro il vetro, a rappresentare in tutta la sua drammaticità la stupidità umana. Perché un cittadino di Guangzhou dovrebbe aver voglia di scattare un selfie in compagnia di un orso bianco depresso? Qual è il senso commerciale dell’iniziativa? Quali sono i vantaggi per lo shopping center cinese? Sono cose che non capiamo, ma che si inseriscono in un comportamento ormai diffuso a tutte le latitudini, in realtà culturali, economiche e sociali diverse, a riprova che la stupidità umana è innata e poco ha a che fare con l’ambiente sociale.

Basti pensare ai circhi, che ancora percorrono in lungo e in largo le nostre strade, portando nelle nostre città animali spelacchiati, spesso in evidente stato di malnutrizione, maltrattati, tristi e rassegnati a morire come attrazione anacronistica di un’umanità annoiata e noiosa. E ancora, le tigri narcotizzate in Thailandia, per renderle mansuete e attirare turisti occidentali alla ricerca di un selfie ravvicinato con l’animale selvaggio. Pavidi, viagliacchi e codardi turisti in occhiali da sole che pur di portare a casa l’agognato scatto si rendono complici, consapevoli o meno, di un’azione disumana nei confronti di animali splendidi, maestosi, che andrebbero tutelati, non sfruttati.

E persino gli zoo, che oggi chiamiamo “bioparchi” in un disperato tentativo di ipocrita autoassoluzione, non sono altro che prigioni solo leggermente più civili per animali che non dovrebbero stare lì, che hanno il loro habitat naturale lontano da Villa Borghese o da Central Park. L’orso di Guangzhou è l’emblema della crudeltà dell’uomo, ma soprattutto della sua stupidità. E non bisogna essere animalisti impegnati per rendersene conto e per urlare il proprio no difronte alle immagini di un essere vivente depresso e triste. Bisogna essere semplicemente umani. E il problema è che lo siamo sempre meno.