Tornano le risse dopo le "purghe" dell'era di Flavio Tosi: il segretario bossiano Da Re manda fuori una quindicina di persone e ne sospende e richiama un'altra decina. Tra questi anche Antonio Mondardo, capo del partito a Vicenza e tesoriere regionale, che preso dallo sconforto è finito all'ospedale
Dramma sfiorato nella casa leghista del Veneto, dove sono tornate le “purghe” che ai tempi del segretario Flavio Tosi falcidiarono gli oppositori. Nell’era del nuovo leader, il bossiano Toni Da Re, invece, in un sol colpo sono state decretate una quindicina di espulsioni e una decina tra sospensioni e richiami, con il risultato che il segretario vicentino Antonio Mondardo, sfiduciato dal consiglio nazionale, preso da sconforto si è tagliato le vene. Salvato grazie al provvidenziale allarme lanciato dalla moglie, non è in pericolo di vita, ma rimane ricoverato in ospedale profondamente scosso.
Che nella Liga Veneta ci fosse aria di regolamento di conti dopo la tornata delle amministrative lo si sapeva da tempo. Ma nessuno sospettava che avrebbe assunto tali dimensioni e avrebbe avuto un epilogo quasi drammatico. La riunione si è tenuta a Noventa Padovana dove si è recato anche Mondardo, 51 anni, che non solo era segretario a Vicenza, ma riveste anche il delicato incarico di tesoriere del partito. Suo malgrado ha dovuto fare i conti con i regolamenti interni e con la linea dettata dal presidente Massimo Bitonci (sindaco di Padova) e dal segretario Toni Da Re (già sindaco di Vittorio Veneto).
Mondardo, che fa il commercialista, ha un passato di tutto rispetto nella Lega: è stato sindaco di Grancona, vicepresidente della Provincia di Vicenza e consigliere d’amministrazione di Poste italiane. Un mese fa aveva dovuto ingoiare un rospo, quando Da Re e Bitonci avevano nominato vicesegretario-vicario del Veneto Paolo Franco, un vicentino da sempre rivale di Mondardo. L’aveva preso come un affronto personale e politico. Per protesta si era dimesso da segretario, poi ci aveva ripensato, ritirando la lettera. Troppo tardi. Perché in base allo statuto del partito le dimissioni presentate vanno accolte. Il consiglio nazionale, quindi, ha preso atto della situazione e dichiarato Mondardo decaduto dalla segreteria.
Dopo tanti anni di militanza, forse si attendeva un epilogo diverso, anche se Da Re ha tentato un’ultima mediazione. Mondardo, secondo quanto racconta Il Mattino, è andato a casa, a Grancona, ha telefonato alla moglie che era all’estero e le ha manifestato il suo profondo abbattimento. La donna ha capito e ha dato l’allarme: si era tagliato le vene, ma è stato soccorso e operato. Adesso è sotto osservazione nel reparto di Psichiatria, fuori pericolo, ma visibilmente scosso. “Un fatto tristissimo, spero che l’amico Antonio si riprenda completamente e al più presto” ha commentato il presidente del consiglio regionale, Roberto Ciambetti.
La lunga notte delle purghe non è finita qui. Il consiglio nazionale ha commissariato la segreteria di Vicenza, affidandola all’ex assessore regionale all’agricoltura Franco Manzato (uomo di cui Da Re si fida ciecamente). Una quindicina le espulsioni: 6 a Padova, 4 a Verona, un paio nel Veneto Orientale e altrettante a Treviso. Una decina le sospensioni o i richiami. E’ l’effetto di comportamenti tenuti in campagna elettorale e ritenuti non ortodossi da un partito che fin dai tempi di Bossi ha chiesto fedeltà ai propri aderenti.
A farne le spese, a Padova, è stato Tiberio Businario, sindaco di Carceri, arrivato al secondo mandato. E’ anche vicepresidente della società di raccolta rifiuti Padova Tre. Lo ha saputo da un sms e, infuriato, dichiara: “Mi hanno cacciato, senza sentirmi, per dichiarazioni alla stampa, critiche espresse sulla gestione del consorzio, non del partito. Farò ricorso al Federale”. Era stato lui, assieme agli altri amministratori, a parlare di buchi di bilancio.
Mandato via anche l’ex segretario della circoscrizione di Treviso, Enrico Chinellato, troppo vicino al sindaco-sceriffo Giancarlo Gentilini, entrato ormai in rotta di collisione con il nuovo corso della Lega. Galeotta una cena, a marzo, dove secondo l’accusa Gentilini sarebbe stato sobillato a prendere posizione contro i vertici del partito, il capogruppo comunale Mario Conte e l’ex assessore Mauro Michielon, già consigliere d’amministrazione di Poste Italiane. Un video della serata finì anche alla stampa. E a pagare il conto è stato Chinellato.
Il segretario Da Re assicura: “Non ci saranno altre espulsioni, quella di Chinellato è dovuta a una serie di comportamenti culminati con la cena di marzo. Abbiamo aspettato per prendere dei provvedimenti perché Salvini ci aveva chiesto di rimandare a dopo le amministrative. La decisione è all’unanimità. Il messaggio è chiaro: dopo due anni di anarchia, non è più possibile fare quello che si vuole. Chi va sulla stampa o sui social e spara contro il movimento è fuori”. Insomma, pugno di ferro. E Gentilini gli fa da controcanto: “Questi metodi dittatoriali non mi piacciono, sono degni dei bolscevichi che spedivano in Siberia chi non la pensava come loro. Nessuno mi ha mai sobillato, nemmeno quando parlavo di leprotti, panchine e confini blindati”.