L'azienda in mano agli emiri annuncia la cessione delle attività "non strategiche" per concentrare ricerca e produzione sui droni (il cui sviluppo è però in forte ritardo). A farne le spese i primi 132 dipendenti. La vicenda chiama in causa il governo: Piaggio Aero garantisce la manutenzione dei velivoli militari dell'Aeronautica che potrebbero restare a terra. Palazzo Chigi al bivio. Portebbe esercitare i poteri della "Golden Power" che ha sempre disatteso
Dalla Liguria decollino droni. Per volare alto, verso il ricco business internazionale delle armi. L’occupazione e la sicurezza dello Stato italiano? Quelle possono attendere. Il nodo di Piaggio Aerospace è arrivato al pettine e si porta dietro la notizia di almeno 132 esuberi e vari fronti aperti: industriali, sindacali e politici. Giovedì 28 luglio in un incontro al Mise l’azienda interamente controllata dal fondo sovrano Mudabala ha esposto le linee guida del suo nuovo piano industriale. Un piano atteso da mesi che doveva risolvere la crisi dell’azienda ligure che ha da due anni i dipendenti in cassa integrazione. Le nuove linee ben rappresentano la strategia dell’azionista emiratino che, come anticipato tre mesi fa dal fattoquotidiano.it, intende concentrare le risorse nello sviluppo di programmi militari, lasciando le attività “non strategiche”, come la produzione e la manutenzione dei motori, che sarebbero ceduti insieme agli esuberi ad acquirenti ancora da trovare. “Piaggio Aerospace è stata duramente colpita dalla contrazione del mercato business”, ha dichiarato Carlo Logli, ad della società. “Le piattaforme militari ci offrono al contrario un percorso di crescita modulare e sostenibile”.
A quanto riferisce l’azienda, Piaggio continuerà dunque a investire negli Aerei a Pilotaggio Remoto (APR), accelerando in particolare il programma di sviluppo del proprio velivolo P.1HH HammerHead e concentrando le proprie attività di ricerca e sviluppo e produttive negli APR di categoria a quota intermedia e lunga percorrenza. Durante l’incontro, sono stati confermati ordini per otto P.1HH da parte delle Forze Amate degli Emirati Arabi Uniti e una manifestazione di interesse da parte del Governo italiano. “Piaggio Aerospace continuerà allo stesso tempo a svolgere le attività di produzione e commercializzazione dell’Avanti EVO, aereo turbopropulsore all’avanguardia nella sua categoria”. La società, recita una nota, “ha anche avviato la ricerca di soggetti interessati al rilevare le attività non strategiche di produzione di motori e i servizi di manutenzione civile: tali rami d’azienda verranno ceduti nella loro interezza operativa, ipotizzando dunque il passaggio contestuale di tutti i dipendenti alla nuova proprietà. In considerazione delle avverse condizioni di mercato, Piaggio Aerospace si vede anche costretta a ridurre la propria forza lavoro di 132 unità, una decisione difficile ma necessaria per la salvaguardia del futuro della società e delle persone che vi lavorano”.
E siamo al nodo industriale. Perché il business militare in questo momento è un costo e non un guadagno. Così Piaggio resta un’azienda priva di ricavi. Il drone di punta PHH – a quanto risulta al fattoquotidiano.it – non sta vendendo nulla, a parte il contratto con gli Emirati che è già pagato e i cui soldi vanno a Mubadala. Non solo, si avvia ad essere anche un’azienda priva di prodotti. Oltretutto è in gravissimo ritardo perché dopo che è caduto in mare il programma ha registrato un ritardo di sviluppo notevole. Il secondo MPA è in fase di pre-prototipo e in parte congelato. Non a caso la ventilata combine con Finmeccanica come soccorso ai conti e agli affanni dell’azienda, è sparita dai radar.
Durissima la reazione dei sindacati. La Fiom di Savona fa i conti sulle cessioni e stima in 650 i lavoratori a rischio, quasi la metà degli organici oggi in forza (1.235). “In questo modo l’azienda ha disatteso gli impegni presi, la cui attuazione era stata ancora assicurata nel precedente incontro del 28 giugno scorso, dimostrandosi pertanto inaffidabile. Il quadro prospettato è inaccettabile perché mina la prospettiva industriale di Piaggio Aero, oltre che prefigurare una perdita di lavoro e di ricchezza per il nostro territorio”. E tira in ballo direttamente il governo, chiedendo che venga convocato un incontro presso la Presidenza del Consiglio.
E qui arriva il nodo politico della vicenda, per due ordini di ragioni. Prima che gli emirati assumessero il controllo totale dell’azienda italiana – che fa anche produzione, collaudo e manutenzione per gli aerei dell’Aeronatica militare italiana – Palazzo Chigi ha aperto l’ombrello della “Golden Power” che gli permette di intervenire sulle industrie strategiche, qualora le scelte degli azionisti si discostassero dall’interesse nazionale. Tra le garanzie del decreto siglato nel 2014 c’era anche “il mantenimento dell’equilibrio economico-finanziario di Piaggio Aerospace” e la “continuità produttiva” il cui perimetro non si limita ai nuovi progetti militari ma ricomprende espressamente la produzione, il collaudo e la manutenzione dei motori dell’Aeronautica, in forte ritardo per effetto della crisi di liquidità e della cassa integrazione. Sembrava un patto di ferro, suggellato dalla presenza dello stesso Matteo Renzi il 7 novembre 2014, quando inaugurò personalmente lo stabilimento di Villanova D’Albenga dove è stata spostata la produzione dei droni e del pattugliatore con pilota MPA.
In questi due anni lo Stato non ha mai esercitato i suoi poteri disattendendo il suo stesso decreto. E ora il problema si fa pesante perché chiama in causa direttamente il ministero della Difesa. In ballo c’è il futuro delle manutenzioni per l’Aeronautica militare e il rischio che – se nessuno rileva questo segmento di attività – i nostri addestratori, i nostri elicotteri e perfino le amate Frecce Tricolore restino a terra. Un rischio che certo l’Italia non può correre. Non solo. Il problema potrebbe avere poi riverberi internazionali. Piaggio produce anche componenti per gli F35 e il JSF americano, attività che Europa e Usa hanno lasciato in Italia venendo incontro a precise richieste del governo. E tocca capire come la prenderanno, se Palazzo Chigi ha informato i Paesi partner del cambio di programma.
E ora bisogna vedere se, in forza di questo, il governo interverrà. I poteri che ha gli consentirebbero perfino di requisire gli stabilimenti e imporre un piano industriale diverso agli Emiri. Fosse solo per salvaguardare 1300 posti in una regione poverissima come la Liguria. A chiederlo sono addirittura i parlamentari liguri del Pd Giacobbe, Basso, Carocci, Tullo, Vazio. “Il carattere strategico delle attività Piaggio impone che il Governo eserciti davvero il diritto-dovere di controllo e di indirizzo che deriva dal nostro ordinamento: e non è accettabile che quel patrimonio industriale venga disperso per scelte sbagliate dell’azienda e per assenza di una strategia convincente. Chiediamo al nostro Governo di agire rapidamente, con l’autorevolezza necessaria”. Per ora il Mise si è impegnato a fissare a breve la data di un nuovo incontro tra le parti alla presenza della Presidenza del Consiglio.