Quello dell'Arcipelago Toscano è il "più grande parco marino d'Europa", ma solo le isole più piccole sono davvero tutelate. L'allarme delle associazioni ambientaliste
La definizione fa effetto: “Il più grande parco marino d’Europa”. Ma delle sette bellissime isole che compongono l’Arcipelago Toscano, solo le più piccole godono di una tutela completa a terra e in mare: Gorgona, Pianosa, Montecristo, Giannutri. Qui le visite sono contingentate, il primo chilometro di mare è protetto dal traffico dei diportisti e dalla pesca e in molte spiagge non è neanche consentita la balneazione, come ricorda l’episodio che vide protagonista l’allora presidente della Camera Gianfranco Fini. Abbastanza tutelata è anche l’isola di Capraia.
La legge disapplicata dal 1982
E’ una norma nel 1982 e altre due successive che prevedono l’istituzione di un’area marina protetta dell’Arcipelago Toscano. “Ma nessun governo le ha mai applicate – spiega Umberto Mazzantini di Legambiente, nome storico dell’ambientalismo elbano – Sarebbe servita a regolare tutto il settore della nautica da diporto e avrebbe favorito la pesca locale”. Non solo: con un’area del Parco estesa anche al mare o un’area marina protetta, dice il presidente del Parco Giampiero Sammuri, “qualunque intervento avrebbe dovuto ricevere il nulla osta del parco stesso”. Che oggi invece si trova con le mani legate, mentre, spiega il biologo marino dell’università di Torino Nicola Nurra, nato e cresciuto all’isola d’Elba, “alcune delle aree più belle, come il golfo del Viticcio, in estate si trasformano in grandi parcheggi per imbarcazioni. Tutte ormeggiano nella baia e quando salpano l’ancora si comporta come una specie di aratro, danneggiando la prateria di posidonia che circonda l’isola”.
Diportisti selvaggi
Solo un po’ di alghe, dirà qualcuno. Ma in realtà quelle piante marine sono importantissime: “La posidonia è fondamentale per gli ecosistemi marini, perché in queste praterie vive un folto gruppo di specie vegetali e animali. Quando la posidonia è sotto stress per gli ancoraggi e per le acque più torbide che ne inibiscono la fotosintesi, abbandona le profondità per risalire. In una stagione intera parliamo di migliaia di ancoraggi, con gravi effetti a livello ambientale e sulla pesca”. Ma l’ormeggio selvaggio non è l’unica minaccia: “I natanti infrangono di continuo i limiti di distanza dalle coste e scaricano illegalmente in mare anziché nei porti, per risparmiare. La Guardia costiera fa quello che può con i mezzi che ha in una delle aree più grandi da controllare sotto un unico presidio. Se ci fosse un’area marina protetta avrebbero rinforzi”, aggiunge Mazzantini. Nell’estate 2015 a Pianosa sono state installate delle telecamere di videosorveglianza, ma prima “i pescatori di frodo facevano quel che volevano”. Eppure, se è vero che le risorse sono sempre meno, che il territorio è tanto e che “riuscire a far rispettare le regole attuali sarebbe già abbastanza”, Sammuri ammette che nell’ordinanza emanata ogni anno all’inizio della stagione turistica dalla Guardia costiera si potrebbe inserire qualche limitazione in più.
Traffico anche in zone protette
L’ordinanza sarebbe forse l’unico strumento, nella situazione attuale, per mettere dei paletti al continuo traffico di imbarcazioni, che non si ferma davanti a niente. Nelle acque dello Scoglietto, di fronte a Portoferraio, tra Punta Falcone e Capo Bianco, si trova la prima area di tutela biologica istituita in Italia, nata nel lontano 1971. Un tratto di mare in cui è vietata qualsiasi attività di pesca, sia professionale che sportiva, eccetto la pesca con lenze da terra e con totanaie. “Oggi i risultati si vedono”, dice Nurra, anche se “essendo un luogo di attrazione turistica, è sottoposto all’ancoraggio di tantissime imbarcazioni, all’origine di un danno all’ecosistema che si continua a trascurare perché non si vede”. E presto a Portoferraio dovrebbero arrivare anche grosse navi da crociera. “Fino ad ora – racconta la presidente di Italia Nostra Arcipelago Toscano Cecilia Pacini – arrivavano quelle piccole, ma si sta progettando l’allungamento del molo proprio per l’attracco di quelle più grandi, alte quanto le fortezze medicee”. Se ci fosse stato il Parco, dice con amarezza Sammuri, “una cosa del genere difficilmente si sarebbe verificata”.