Tutti addosso alla Rai, di nuovo. La politica fuori da viale Mazzini, mantra di tutti i partiti e da ultimo del presidente del Consiglio, resta una regola non rispettata. La lotta si è riaccesa per via della possibile volontà dei vertici della Rai di cambiare i direttori del Tg2 e del Tg3. Prima ancora il campo di battaglia era stato quello degli stipendi che per qualcuno è stato solo un pretesto del Pd per mettere pressione sull’ad Antonio Campo Dall’Orto e quindi arrivare alle nuove nomine. Ora è il presidente della commissione di vigilanza Roberto Fico, esponente dei Cinquestelle, a avvertire che nessun cambio di direzione potrà avvenire prima del referendum costituzionale, la cui campagna – dice – sarà “cruciale”. “Non si proceda a nominare direttori di testata schierati per l’uno o per l’altro campo – sottolinea Fico – Fino a oggi i dati parlano chiaro, il ‘sì’ è dilagante. Dobbiamo scongiurare qualsiasi tentativo di blitz autoritario“. Fico fa riferimento a una riunione del cda della Rai il cui ordine del giorno – secondo diversi giornali – prevede tra l’altro le nomine dei direttori dei telegiornali. I nomi che girano sono la conferma di Mario Orfeo al Tg1 e l’arrivo dei nuovi Ida Colucci al Tg2 al posto di Marcello Masi e Antonio Di Bella al Tg3 al posto di Bianca Berlinguer. Nuovi, si fa per dire: la Colucci – già vicedirettore – è stata spesso ritenuta vicina al centrodestra e in particolare a Forza Italia; Di Bella ha già fatto il direttore del Tg3 per 8 anni (2001-2009) e ha anche guidato per un breve periodo Rai3 (circa 6 mesi tra il 2009 e il 2010). “Al momento la Rai non ha ancora presentato pubblicamente alcun piano editoriale per l’informazione – aggiunge Fico – Non è chiaro quindi come si possano fare le nomine alla guida dei notiziari in mancanza di un preciso progetto editoriale. La Rai dia un vero segnale di rinnovamento: presenti il piano editoriale in Vigilanza e metta in piedi una procedura aperta e trasparente per la scelta dei direttori di testata”.
Questi “squadristelli” pensano di sostituire dalla TV pubblica i non renziani. Solo così pensano di poter far vincere i sì al referendum
— AlessandroDiBattista (@ale_dibattista) 29 luglio 2016
A sollevare questa polemica erano stati, però, anche altri partiti. Per esempio Sel: secondo Loredana De Petris il cambio alle direzioni delle testate giornalistiche preparano “il terreno alla campagna elettorale referendaria a favore della riforma conferma, ancora una volta, l’idea di democrazia e di servizio pubblico che ha Matteo Renzi e il suo governo”. Ma le voci critiche sono anche quelle interne alla maggioranza. La deputata del Pd e ex ministro Barbara Pollastrini dice che l’allontanamento eventuale di Bianca Berlinguer dalla direzione del Tg3 sarebbe “ancor più grave se il suo avvicendamento avvenisse per ragioni ‘politiche'”. Lo stesso dicono i senatori della sinistra Pd Miguel Gotor, Federico Fornaro e Claudio Martini: “Sarebbe un blitz agostano francamente inaccettabile in assenza di un piano sull’informazione chiaro e condiviso” dicono. Per l’alfaniano Gianni Sammarco “la situazione in Rai diventa sempre più preoccupante. I tentacoli dei vertici dell’azienda – perché di questo si tratta – si fanno ogni giorno più stringenti nei confronti del servizio pubblico e dei dipendenti interni di viale Mazzini che meriterebbero ben altro trattamento”.
Ma ci sono anche dei renziani a sollevare qualche dubbio: “Le nomine ai tg non sono materia per la politica – dichiara Francesca Puglisi – Una buona norma che ancora oggi in molti dimenticano, ripiombando così in un antico vizio. Più che ai direttori, pensiamo al tetto sugli stipendi, ai dati dell’Osservatorio di Pavia sul pluralismo, e a valorizzare per le direzioni le tante risorse interne”. Il senatore del Pd Francesco Verducci – corrente dei Giovani Turchi – polemizza direttamente con Fico: “Ma di quale blitz autoritario vaneggia? Ma di quale dilagante campagna per il Sì farnetica? Si rilegga i dati e potrà verificare l’equilibrio tra le forze politiche nell’informazione Rai. E soprattutto la smetta di intromettersi nelle nomine, che spetta alla Rai fare in autonomia e non certo a lui”.
Gli argomenti di discussione si intrecciano, alimentando così confusione di ruoli e di temi. Il recordman in questo campo è come sempre Michele Anzaldi, Pd, che prima contesta a Campo Dall’Orto lo stipendio che guadagna (“Possibile che sia sei volte quello del premier?”) e poi attacca – per la centesima volta – il Tg3: “Il consigliere Rai Carlo Freccero, espressione in cda del Movimento 5 stelle, dice in un’intervista al Qn che il Tg3 sarebbe schierato per il No al referendum. Sono passate diverse ore dalla pubblicazione dell’intervista, non sono arrivate né rettifiche né smentite. Perché la testata, la direzione e la redazione non annunciano querela nei confronti del consigliere Rai?”.
In particolare Freccero ha avvertito che “se davvero pensano di arrivare in cda a cose fatte, come sempre oramai allora siamo pronti anche ad azioni eclatante”. Al Fatto Quotidiano, invece, Freccero ha detto che questa operazione è un “colpo di mano per il sì” e che “neanche Berlusconi osava tanto”. Nel ping pong si inserisce anche il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri: “Anziché fare inutili proclami, il presidente della commissione di Vigilanza (Fico, ndr), se vuole bloccare una lottizzazione di stampo renziano, può fare una cosa molto semplice: raccogliere l’invito che gli ho fatto con una lettera e convocare mercoledì i vertici della Rai, sia quelli operativi che il cda, per conoscere a che punto è il piano editoriale, senza il quale non si possono fare nomine”.