C’è guerra e guerra. Anche i libri possono dividere e generare conflitti durissimi magari senza morti e feriti ma comunque generando tensioni e conseguenze economiche politiche rilevanti. Sto parlando della guerra tra Milano e Torino relativamente al Salone del libro ideato da Guido Accornero nel lontano 1982 e che da allora si è via via ingrandito fino a diventare una manifestazione di interesse persino internazionale con la partecipazione di scrittori e personaggi dello spettacolo e della politica di forte peso. Insomma una grande kermesse, vanto di tutte le amministrazioni che si sono succedute da allora ma che ha sempre visto gli editori come ospiti e non come padroni di casa. Di qui l’irritazione di molti editori obbligati a sostenere costi altissimi per parteciparvi e senza avere peso nelle scelte editoriali e nella gestione, peraltro alquanto sbarazzina visto che ci sono inchieste in corso e sotto accusa sono i passati amministratori.
Adesso gli editori, riuniti in assemblea, hanno detto basta. Il Salone ce lo facciamo noi ai costi che decidiamo noi. Non tutti sono d’accordo però, infatti diversi editori indipendenti come e/o, add, minimum fax e altri hanno protestato e si sono dimessi dall’associazione. Una scelta che si può leggere anche come presa di posizione contro il potere forte della “Mondazzoli“, il nuovo gruppo editoriale che non ci sta a giocare un ruolo di semplice rimessa come ha fatto finora e vuole avere un peso ben evidente nella nuova iniziativa di Aie in collaborazione con la Fiera di Milano che avrebbe la maggioranza nella Newco che si costituirà e che dovrebbe garantire agli editori costi molto più bassi rispetto a quelli previsti dal Salone del libro.
Alla fine pare avremo due saloni nello stesso mese di maggio cui si aggiunge a ottobre Book city sempre a Milano e il Salone dell’editoria indipendente a Roma a dicembre, Più libri più liberi, a cui se ne aggiungono altri nel corso dell’anno. Evviva i saloni, evviva i festival, evviva questa macchina che muove tante energie e che fa muovere tanti scrittori e lettori da una parte all’altra dell’Italia. Tutti vogliono partecipare ma alla fine chi compra i libri? Pochi rispetto agli altri paesi anche se le percentuali non tengono conto delle differenze abissali che ci sono tra il nord e il sud. Il numero dei lettori dislocati al settentrione è paragonabile al numero di lettori di una Francia o di una Germania.
E allora perché non fare di più al sud? Torino che ha ideato il Salone e lo ha portato anche nelle periferie della città perché non cambia formula e prova a smarcarsi da questa inutile guerra? Anche Milano pensa a portare altrove il nuovo Salone, e allora perché non unire le forze? In fondo anche per la musica Milano e Torino si sono alleate organizzando la manifestazione Mito e portando nelle due città eccellenti musicisti. È vero, è quasi sempre Torino che parte per prima (penso anche al jazz, ai grandi concerti di musica elettronica, e molto tempo fa al cinema e alla Tv) ma fare le vittime non serve. Bisogna rilanciare.
È qui la questione editoriale incrocia quella politica: Chiara Appendino appena eletta sindaco deve reagire e messa alla prova da questa sfida milanese deve sparigliare le carte. Quel salone vecchio di 34 anni, sebbene ogni anno più interessante anche grazie a un gruppo di lavoro di persone eccezionale, nonostante una gestione molto approssimativa, forse va decisamente rilanciato e ripensato. Torino reagisci! Le energie intellettuali ce le hai tutte e ora anche quelle politiche grazie a un voto che ha espresso una decisa volontà di cambiamento.