Molte corte penali, una internazionale (quella de L’Aia), e poi i giudici della Cassazione e i magistrati della Consulta. Ancora gli ermellini a Sezioni Unite. È stata una battaglia lunghissima e chi l’ha iniziata non è più in vita. I suoi eredi però potranno chiedere che un tribunale italiano, quello di Bergamo in questo caso, stabilisca un risarcimento per le sofferenze patite da deportato durante il regime nazista.
La Cassazione, a Sezioni Unite, ha stabilito che spetta a una corte italiana a decidere sull’ormai antica e controversa questione del risarcimento dai crimini commessi in Italia dal Terzo Reich. Gli ermellini hanno richiamato il verdetto della Corte Costituzionale che nel 2014 ha riaperto la strada alle richieste. I giudici ricomposero una sorta di gerarchia tra due principi fondamentali: l’immunità degli Stati e la tutela per i crimini di guerra e contro l’umanità, stabilendo che in base alla Costituzione italiana, il primo deve recedere rispetto al secondo. E quindi non si può consentire che per rispettare l’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile straniera, chi ha subito “atti quali la deportazione, i lavori forzati, gli eccidi, riconosciuti come crimini contro l’umanità” veda negata la possibilità di accedere alla giustizia e di essere risarcito. Un verdetto storico cui Berlino rispose che valeva la sentenza de L’Aia (3 febbraio del 2012). Ovvero che non vi dovesse essere alcuna eccezione relativamente all’immunità degli Stati, per i crimini di guerra e quelli contro l’umanità. E in base a questo giudizio le denunce contro la Germania davanti al tribunale di un altro Stato fossero inammissibili.
Dopo tutti questi sentieri giudiziari oggi la Cassazione (nella sentenza n.15812) ha accolto il ricorso degli eredi dei deportati costretti ai lavori forzati, che avevano fatto causa alla Repubblica Federale di Germania. E ha rinviato la decisione sui risarcimenti al tribunale di Bergamo, dove si stava svolgendo il processo. Il capostipite delle richieste di giustizia contro i crimini nazisti era stato il signor Luigi Ferrini di Tulla (Arezzo), morto ottantaseienne, tre anni fa senza ottenere risposta. Almeno fino a oggi.