In futuri, ipotetici accordi sul nucleare nordcoreano occorrerà tenere a mente la possibile esistenza di impianti per l’arricchimento dell’uranio finora sconosciuti. Lo rivela un’analisi dell’Institute for Science and International Security, centro studi statunitense che ipotizza l’esistenza di una struttura all’interno di una fabbrica per componenti di aerei nei pressi della base di Panghyon, distante appena 43 chilometri dal sito nucleare di Yongbyon, il cuore del programma atomico dei Kim. I contenuti del documento, ora disponibile sul sito del think tank, sono stati anticipati da Reuters. “È necessario sapere dove la Corea del Nord arricchisce l’uranio, e per farlo occorre capire dove l’abbia fatto in passato”, ha spiegato il presidente del centro studi David Albright intervistato dall’agenzia.
Soltanto nel 2010, dopo aver negato a lungo, Pyongyang ammise l’esistenza di centrifughe a gas per l’arricchimento dell’uranio. All’epoca il regime parlò soltanto delle strutture di Yongbyon, negando che ci fossero altri impianti. Secondo quanto si legge nel documento, la struttura di cui si parla potrebbe essere stato un tassello importante del programma nucleare di Pyongyang a cavallo tra gli anni Novanta del secolo scorso e gli anni 2000. Questa fase presupponeva l’utilizzo di piccole strutture, ipotizzate già nel 2000 dal quotidiano nipponico Sankei Shimbum, che sosteneva potessero trovarsi da qualche parte sul monte Chonma. Con l’analisi delle immagini satellitari l’Institute for Science and International Security è arrivato a sostenere che questa struttura fosse nell’impianto di Panghyon, dove in epoca sovietica venivano assemblate parti per i caccia di Mosca.
Se le circa 200 centrifughe siano ancora in funzione non è chiaro. Albright ha spiegato che, secondo quanto emerso dai racconti dei disertori, in tutto il paese le strutture attive sarebbero almeno tre. Manca però la conferma di dove si trovino. Le ultime rivelazioni sono state rese pubbliche in un momento di tensione tra il regime e i paesi limitrofi. Da mesi Kim e i suoi generali conducono test missilistici in spregio alle risoluzioni Onu. L’ultimo in ordine di tempo risale allo scorso 19 luglio, quando sono stati lanciati tre missili, probabilmente Scud o Rodong. La stampa ufficiale di regime ha chiaramente spiegato che si è trattato di un’esercitazione per prepararsi a un eventuale attacco contro i porti e gli aeroporti sudcoreani, “dove l’impero statunitense porterà il proprio equipaggiamento per la guerra nucleare”.
Più che un test però a molti commentatori i lanci sono sembrati uno sfoggio di forza in risposta al dispiegamento in Corea del Sud del sistema anti-missile Thaad, la cui installazione sta peraltro scatenando la reazione della popolazione locale a Seongju, dove solitamente è alto il sostegno per i conservatori oggi al governo. Gli osservatori si attendono inoltre un quinto esperimento nucleare dopo quello di gennaio, costato al regime un inasprimento delle sanzioni allo scopo di fiaccare la leadership e le élite che la sostengono. Uno sguardo agli ultimi dati sul Pil nordcoreano potrebbe però dare una spiegazione della rinnovata enfasi bellica del giovane Kim Jong Un e dei sui generali. Pyongyang non fornisce cifre ufficiali, le stime sono pertanto affidate alla Bank of Korea. Secondo l’ultimo rapporto della banca centrale sudcoreana, lo scorso anno l’economia del Nord si è contratta per la prima volta dal 2010. I nordcoreani hanno chiuso il 2015 con un -1,1 per cento, che ha interrotto una serie di anni di crescita sebbene sempre attorno all’1 per cento. Si è registrato un calo delle esportazioni del 14,8 per cento e anche l’import è crollato del 20 per cento, contro un rialzo del 7,8 per cento nel 2014. Crescono di contro le costruzioni (1,4 per centro), come riscontrato da diverse notizie sul boom dell’edilizia a Pyongyang.
Ma per l’anno in corso la situazione potrebbe volgere al peggio, per effetto delle sanzioni che limitano i legami commerciali ed economici tra il regime e il resto del mondo. La strategia politica a doppio binario del byungjin prevede che sviluppo economico e militare viaggino in parallelo. Ma se il primo binario, sui cui il giovane Kim si è speso dalla salita al potere nel 2011, dà segnali di frenata, allora il regime potrebbe dare maggiore importanza alla seconda gamba: quella bellica.