L’attacco alla chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray segna una svolta nella sequenza dei numerosi atti di violenza perpetrati in Europa negli ultimi mesi in nome dello Stato Islamico. Nessun attentato avvenuto nella nostra sponda del Mediterraneo aveva, infatti, mai colpito un luogo di culto. Inoltre, la violenza contro membri ed edifici delle religioni abramitiche (cristianesimo, islam ed ebraismo) è in netto contrasto con i dettami della Legge Islamica.

“Se Dio non avesse respinto alcuni uomini per mezzo di altri, i monasteri e le sinagoghe, gli oratori e le moschee dove il nome di Dio è spesso ricordato sarebbero distrutti. Dio soccorrerà chi Lo soccorre, Dio è forte e potente”. Da questo versetto del Corano (22,40) si deduce che chiese, sinagoghe e moschee sono poste sotto la protezione divina. Lo Stato Islamico ha già violato diversi luoghi di culto in Nord Africa e Medio Oriente suscitando però poco interesse da parte dell’opinione pubblica occidentale.

Per esempio, nel 2010 a Baghdad quando alcuni jihadisti vestiti con delle uniformi militari fecero irruzione nella chiesa di Sayyidat al-Najat (Nostra Signora della Salvezza) tenendo ostaggio due sacerdoti e un gruppo di fedeli. Il bilancio delle vittime dopo l’irruzione delle forze di sicurezza irachene e dei soldati americani fu di 58 vittime e 67 feriti tra fedeli, soldati e jihadisti.

“Le azioni dello Stato Islamico sono l’ultimo stadio di un’escalation cha ha portato a una progressiva cancellazione dei tabù della violenza del jihad dal ‘900 a oggi”, spiega Martino Diez direttore scientifico della Fondazione Internazionale Oasis. “L’organizzazione ha superato tutti i vincoli presenti, per esempio, nell’Impero Ottomano dove la coesistenza tra le diverse confessioni, per quanto non egualitaria, prevedeva il rispetto delle donne, dei cimiteri e dei luoghi di culto come segno del futuro, passato e presente di ogni comunità”.

Inoltre, gli attentati rivendicati dall’IS si sono spinti anche contro i luoghi di culto musulmani; lo scorso 5 luglio una serie di attacchi coordinati in Arabia Saudita sono arrivati a colpire la moschea di Medina. “Non abbiamo le prove per capire se gli ultimi attacchi siano coordinati da un’autorità centrale ma ciò che è certo è che la strategia dell’IS rispetto ai luoghi di culto è ancora più oltranzista di Al-Qaeda“, continua Diez. La differenza tra le due organizzazioni non è dunque solo in merito alla questione della statualità, cioè alla formazione del califfato, che per Al Qaeda è sempre stata un’operazione “prematura” e non un elemento fondante come invece lo è per l’IS. “Al Qaeda puntava ad attentati eclatanti per compattare la comunità sunnita contro l’Occidente”, continua Diez, “ma è sempre stata più prudente rispetto ai musulmani non sunniti e anche alle minoranze locali”.

La nascita di questa divisione si può far risalire al 2005 quando Abu Musab al Zarqawi era alla guida dell’organizzazione terroristica in Iraq. Zarqawi, nato in Giordania da genitori palestinesi non si limitò a seguire le indicazioni di Bin Laden ma rivolse la sua campagna di terrore anche agli sciiti organizzando attentati contro mercati e moschee. Inoltre, l’attacco al primo luogo di culto in Francia di alcuni giorni fa e la concentrazione massiccia negli ultimi mesi di attentati in Europa aumentano i dubbi sulla stabilità dello Stato Islamico che continua a perdere terreno in Siria e Iraq.

Secondo i dati comunicati lo scorso maggio da alcuni ufficiali americani al Pentagono, il califfato controlla circa il 30%- 35% in meno di territorio popolato rispetto al suo periodo di massima espansione. Le perdite militari, l’ultima a giugno con Falluja in Iraq, sono un brutto colpo per l’organizzazione che del “baqiya wa tatamaddad” (“rafforzarsi ed espandersi”) ha fatto da sempre il suo punto di forza. A questo si aggiunge la fine – avvenuta lo scorso gennaio – del patto informale di non belligeranza in chiave anti-Assad che aveva portato la Turchia a rendere permeabili le frontiere per il passaggio dei cosiddetti foreign fighters. La situazione tra Turchia e IS ha avuto poi un repentino peggioramento ad aprile: gli uomini fedeli ad Al-Baghdadi hanno attacco diverse città al confine turco mentre l’aviazione di Ankara ha bombardato le città occupate dal califfato in Siria.

Le conseguenze di questi nuovi assetti militari si stanno riflettendo in Europa con gli attentatori che più che coordinati da un’autorità centrale sembrano giurare fedeltà al califfato tramite un sistema di franchising, simile a quello delle affiliazioni ad Al Qaeda. Lo scorso maggio l’IS ha invitato i suoi simpatizzanti a non raggiungere più “la terra promessa” ma ad organizzare attacchi contro gli infedeli occidentali nei loro paesi. La nuova strategia sembra trovare riscontro anche dal profilo del diciannovenne Adel Kermiche, uno degli attentatori di Saint-Étienne-du-Rouvray, che nel 2015 aveva provato due volte ad andare in Siria. “Daesh sta subendo una sconfitta, è in difficoltà. L’alta intensità di attacchi in Europa, al momento, è l’unica soluzione per mantenere forte l’identità dello Stato Islamico“, conclude Diez. “Se le sconfitte militari continueranno sul lungo periodo Daesh sarà costretto a rinunciare alla pretesa territoriale del sedicente califfato. Per Isis sarebbe una grave sconfitta, comunque la voglia girare”.

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