La battaglia dell’acqua e la popolazione assetata
Nell’arco di questi quattro anni, ognuno dei contendenti ha usato l’arma dell’approvvigionamento idrico per dettare condizioni all’altro. Si è anche assistito a tregue locali causate dalla necessità idrica: a più riprese tecnici pagati dal governo siriano sono andati a riparare le pompe sotto il controllo dello stato islamico, di al Nusra o dell’opposizione moderata, riavviando l’afflusso dell’acqua. Ma “la scarsa reperibilità di acqua in bottiglia ha causato l’aumento del prezzo – dichiarava Maher Ghafari dell’Unicef, interpellato dalla Reuters nell’ottobre 2015 – portando il costo di un litro e mezzo a 75 lire siriane (0,40 dollari). Una famiglia di sei persone non può spendere questa cifra se deve anche mangiare”.
La saltuaria mancanza di acqua e la bassa qualità della purificazione ha prodotto diversi casi di salmonella e altre malattie. A questa drammatica situazione si somma la difficoltà di risposta da parte delle infrastrutture sanitarie della città che sono state oggetto di bombardamenti indiscriminati. È si solo qualche giorno fa il bombardamento di quattro ospedali, Bayan, Hakim, Daqmaq e Zahra, oltre a una banca del sangue nel quartiere Shaar, che ha aggravato la già difficile situazione.
Il 10 luglio 2016 le truppe governative annunciavano di aver tagliato l’ultima via di rifornimenti, la strada Castello, dell’opposizione arroccata ad Aleppo est. L’annuncio giungeva dopo una manovra delle forze governative che era cominciata a febbraio, quando le truppe di Assad avevano preso il controllo di alcuni villaggi a nord di Aleppo, fra i quali quello strategico di Anadan. Questi sviluppi erano il risultato dei mutamenti che il teatro di guerra siriano aveva cominciato ad avere fin dal 2013.