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Justin Bieber dice no a Donald Trump (e a cinque milioni di dollari)

Il cantautore canadese ha rifiutato l'invito di Donald Trump a cantare in un concerto a favore della sua campagna elettorale. Secondo alcune indiscrezioni, a dire il vero, più che dalla star la decisione sarebbe stata presa dal suo manager, Scooter Braun, sostenitore di Hillary Clinton

di Luisiana Gaita

A volte il cachet non basta. Neppure se ammonta a 5 milioni di dollari. A questa cifra record ha rinunciato il cantautore canadese Justin Bieber rifiutando l’invito di Donald Trump a cantare in un concerto a favore della sua campagna elettorale. Secondo alcune indiscrezioni, a dire il vero, più che dalla star la decisione sarebbe stata presa dal suo manager, Scooter Braun, sostenitore di Hillary Clinton. Per il candidato repubblicano alle presidenziali Usa non si tratta del primo rifiuto. Basti pensare che alla famiglia di Luciano Pavarotti non è affatto piaciuta la scelta di utilizzare nella campagna elettorale di Trump ‘Nessun Dorma’. Tra l’altro, pochi giorni fa, nelle stesse ore in cui Hillary Clinton è stata decretata prima donna candidata alla Casa Bianca, in cento tra attori e cantanti hanno firmato una petizione per denunciare ‘l’ideologia dell’odio’ del suo competitor.

ALLA CONVENTION SENZA BIEBER – Secondo i ben informati, se non ci fosse stato l’aut aut del suo manager Scooter Braun, che avrebbe persino minacciato di lasciare il suo posto, Bieber un pensierino ce l’avrebbe fatto eccome. D’altronde si trattava di mettere in tasca 5 milioni di dollari, all’incirca 4 milioni e mezzo di euro per un’esibizione di 45 minuti alla convention repubblicana che si è tenuta a Cleveland, nell’Ohio. E sarebbe stata una cifra record persino per Bieber, già abituato a cachet stellari. Lo staff organizzativo aveva persino assicurato che si sarebbe trattato di un evento non politico, anche se i 5 milioni di dollari erano pagati dal Partito repubblicano.

GLI ALTRI RIFIUTI – Non si è trattato certo della prima star a dire ‘no’ a Trump. Tanto per iniziare, alla convention di Cleveland (la stessa dove era stato invitato Bieber) Trump è salito sul palco accompagnato dalle note di ‘We are the champions’. Dopo diverse critiche dei fan dei Queen, con un tweet la band britannica ha parlato di un “uso non autorizzato, contrario alla nostra volontà”. Sono passate solo un paio di settimane, poi, da quando con un comunicato stampa ufficiale la famiglia di Luciano Pavarotti ha preso le distanze dal candidato repubblicano, dopo aver appreso che la romanza ‘Nessun dorma’ interpretata dal tenore scomparso veniva utilizzata nella campagna elettorale di Trump. “Tocca a noi familiari ricordare che i valori di fratellanza e solidarietà che Luciano Pavarotti ha espresso nel corso della sua carriera artistica sono incompatibili con la visione del mondo proposta dal candidato Donald Trump” hanno scritto (in italiano e in inglese) le figlie Lorenza, Cristina, Giuliana e Nicoletta Mantovani Pavarotti. Ricordando che altri artisti, prima di loro, avevano manifestato la stessa disapprovazione. E così è stato: dai Rolling Stones ai Rem, fino a Neil Young e Steven Tyler, che gli ha vietato di utilizzare ‘Dream on’. Stessa cosa che ha fatto la cantante britannica Adele con ‘Rolling In The Deep’ e ‘Skyfall’.

LA PETIZIONE – E a testimonianza del fatto che il rapporto tra il candidato repubblicano e le star della musica non è proprio idilliaco, c’è la petizione firmata nel giorno in cui Hillary Clinton è diventata ufficialmente la prima donna candidata alla presidenza degli Stati Uniti. Tra attori e cantanti, circa cento artisti ha partecipato alla raccolta di firme per denunciare ‘l’ideologia dell’odio’ del candidato repubblicano alla Casa Bianca. Tra i cantanti in prima linea Russell Simmons, Michael Stipe e DJ Spooky.

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