"La città costiera è un obiettivo tattico - Gabriele Iacovino, capo degli analisti del Centro Studi Internazionali - una sua riconquista da parte delle milizie misuratine, che hanno il controllo delle operazioni nell’area, o del governo rappresenterebbe una bella medaglia per un futuro riconoscimento dell’esecutivo". Una nuova campagna militare? "No, la comunità internazionale non ha la forza"
Le bombe lanciate a Sirte hanno il marchio a stelle e strisce dell’aviazione americana. A dare l’ok all’intervento dei caccia di Washington è stato il primo ministro del governo libico voluto dalle Nazioni Unite, Fayez Al Sarraj. Che per la prima volta ha chiesto l’intervento di un Paese straniero nella lotta contro lo Stato Islamico. Un obiettivo comune, il Califfato che nella città costiera ha la sua roccaforte, e uno che, invece, interessa solo al premier di Tripoli: la corsa per la conquista di Sirte ingaggiata con il generale di Tobruk, Khalifa Haftar.
A maggio, i militari del “Sisi libico” avevano iniziato un’offensiva proprio a Sirte senza confrontarsi con il governo di Al Sarraj e violando l’ordine di cessare ogni operazione militare nella zona fino a quando non si fosse creato un comando di coordinamento anche con le forze di Misurata. A Tobruk, però, i blindati erano già pronti a puntare a ovest, verso i territori in mano al Califfato. “Indubbiamente esiste una corsa per Sirte – commenta Gabriele Iacovino, capo degli analisti del Centro Studi Internazionali (Cesi) – una sconfitta di Isis e una conseguente riconquista della città da parte delle milizie misuratine, che hanno il controllo delle operazioni nell’area, o del governo rappresenterebbero una bella medaglia per un futuro riconoscimento dell’esecutivo”. Questo, però, lo sanno anche gli uomini di Haftar che su Sirte hanno già cercato di mettere mano mesi fa.
A far decollare gli aerei da guerra americani, precisa l’analista, non è però stata la volontà di Al Sarraj di imporsi nella scena politica libica. “Questi raid devono essere letti in primo luogo come un’operazione puramente tattica – spiega – in una situazione di stallo c’era bisogno di un aiuto dal cielo e gli Stati Uniti sono il Paese che politicamente era nella posizione di farlo”. Una scelta in linea con la politica estera americana dell’era Obama: “In questo caso l’obiettivo è lo Stato Islamico, si tratta di un target terroristico – continua l’esperto – da sempre, quando hanno obiettivi di questo tipo, gli americani mettono da parte le questioni politiche e colpiscono. Lo fanno in Siria e in Iraq, quindi se si presenta la possibilità di colpire gli uomini di Abu Bakr Al Baghdadi anche in Libia non si tirano certo indietro”.
Un ruolo che l’esercito statunitense ha spesso ricoperto in molte guerre del Medio Oriente, però, è anche quello di apripista per l’intervento delle coalizioni occidentali. L’Italia, secondo fonti qualificate citate dall’Ansa, era informata dei fatti ma non ha partecipato alle operazioni né con propri mezzi né fornendo basi. “L’Italia valuta positivamente le operazioni aeree avviate oggi dagli Stati Uniti su alcuni obiettivi di Daesh a Sirte – si legge in una nota della Farnesina – esse avvengono su richiesta del governo”. Parole che, però, non devono far pensare a un imminente coinvolgimento di Paesi europei nei bombardamenti contro lo Stato Islamico in Libia. “L’inizio di una nuova campagna militare? Direi proprio di no – conclude Iacovino – non penso che la comunità internazionale sia pronta o abbia intenzione di prendersi un impegno del genere. Non credo che vedremo caccia italiani o di altri Paesi europei sorvolare i cieli della Libia”.