“Quello che delude è lo scavo archeologico che non è accessibile e tenuto in condizioni pietose. E’ visibile dalla strada per chi fosse interessato”, scrive su tripadvisor chi ha provato ad andarci nel giugno 2016. “Nota grave: non essendo pubblicizzato il museo, non era nemmeno noto che gli scavi sono chiusi! Scavi ‘abbelliti’ dal degrado delle ‘donnine’ sulla strada, anche vicino ai cancelli chiusi”, aggiunge un visitatore nel febbraio 2016.
“Non si può programmare una visita di gruppo con guida e pullman agli scavi, senza che avvertano che sono chiusi da 2 anni”, sentenzia sconsolato un turista nell’ottobre 2015. A essere chiuso è il parco archeologico di Sibari, nel Comune di Cassano all’Ionio, in provincia di Cosenza. Il più grande della Calabria, nel quale sono i resti della prima colonia fondata dagli achei sulla costa ionica della Calabria ma anche la più potente delle città magnogreche.
Distrutta e poi ricostruita e ancora rifondata in età romana, fino al definitivo abbandono nel VII secolo d. C. Un sovrapporsi di fasi, un emergere di strutture e strade, finora indagati nei cantieri di Parco del Cavallo, Casabianca, Stombi e Oasi. Una parte dell’intero complesso archeologico. Le lagnanze dei visitatori delusi trovano conferma, facilmente.
Avere informazioni senza arrivare sul posto è impresa ardua. Il sito online della Direzione Generale Archeologia del Mibact (Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo) è da tempo fuori servizio. Nessun accenno sul sito del Comune che, a ragione, dedica spazio alla descrizione de “Gli scavi“. Non va meglio cercando su quello dell’assessorato al Turismo e al marketing denominato “Sybaris Terra d’incanto“. Anche qui descrizione e immagini del parco ma nessuna indicazione.
Come accade anche nel sito della Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Calabria. Invece risulta regolarmente aperto “dalle ore 09:00 a un’ora prima del tramonto”, fatta eccezione per il lunedì, secondo il Portale turistico della Regione Calabria. Il parco chiuso è una questione insopportabile anche per Gianni Papasso, il sindaco di Cassano all’Ionio, che infatti alla fine di luglio ha scritto al ministro Franceschini e al sottosegretario Bianchi:
“Il parco archeologico di Sibari, dopo la disastrosa vicenda dell’esondazione del fiume Crati, è stato interessato da consistenti lavori, finanziati con i fondi Por, che hanno consentito non solo l’eliminazione della coltre di fango, ma anche la realizzazione di interventi strutturali, atti a migliorare la fruibilità del sito […] A oggi, però, nonostante i lavori siano stati ultimati, il parco archeologico di Sibari rimane chiuso al pubblico. Questo, nonostante i rappresentanti della Soprintendenza della Calabria, circa un mese addietro […] avessero promesso che si sarebbe proceduto, in attesa del definitivo collaudo, alla consegna provvisoria del parco archeologico alla direttrice, Adele Bonofiglio, per renderlo fruibile per i visitatori”, ha ricordato Papasso.
Per l’area archeologia dopo l’allagamento provocato dall’esondazione del Crati nel gennaio 2013 non sembra esserci pace. Il ritorno a una sia pur vaga normalità quasi impossibile. Nonostante le risorse impegnate. Per un Comune che finalmente ha deciso di diversificare l’offerta turistica, includendo anche il proprio patrimonio storico-archeologico, non sembra esserci fortuna. Non sembra averne il tentativo di fare del parco archeologico un luogo realmente connesso con il territorio.
Dopo l’appello del sindaco per la riapertura del sito, non rimane che sperare di ricevere presto la visita del premier e del ministro. Renzi e Franceschini alle inaugurazioni non mancano mai. Agli allori è difficile rinunciare.