I due azzurri maggiormente accreditati rimarranno con ogni probabilità dei grandi assenti: così il movimento rischia di rientrare in Italia senza neanche una medaglia al collo, come già accaduto nel disastroso mondiale di Pechino nel 2015
Avrebbe dovuto essere l’olimpiade del rilancio con due possibili ori agli opposti. Alex Schwazer da una parte e Gianmarco Tamberi dall’altra, uniti dal podio dopo il botta e risposta sul doping. Alla fine i due azzurri maggiormente accreditati rimarranno con ogni probabilità dei grandi assenti, per la nuova (e misteriosa) positività il primo e a causa di un infortunio l’altro. Così l’atletica italiana piomba nell’incubo di rientrare in Italia senza neanche una medaglia al collo, come già accaduto nel disastroso mondiale di Pechino nel 2015. Era impossibile pensare che bastasse un anno per rivoluzionare un movimento ormai in apnea da tempo. Ma il rientro del marciatore altoatesino e i progressi del saltatore marchigiano sembravano la panacea giusta per rimpolpare il bottino di 60 medaglie arrivate dall’atletica leggera nella storia dei Giochi. E invece l’Italia si attacca ora ai soliti noti, con scarse chance di un exploit imprevisto e inatteso in altre discipline, per conquistare almeno un podio come avvenne a Londra nel 2012. Allora fu Fabrizio Donato a salvare la spedizione con il bronzo nel salto triplo.
Il laziale cercherà il volo giusto sulla pedana di Rio il giorno di Ferragosto alle 17.30 per poi andare a caccia della medaglia nella finale in programma il 16. Lo farà da neo quarantenne (spegnerà le candeline il 14) consapevole che si tratta della sua ultima chance. Il fatto che l’atletica azzurra affidi buona parte delle proprie fortune a un uomo di 40 anni la racconta lunga. Ma del resto fu così anche in Cina durante la scorsa estate, quando il miglior piazzamento venne raggiunto da Ruggero Pertile, classe ’74. Il maratoneta di Castelsanpietro rappresenta l’opportunità numero due per il nostro movimento assieme al collega di maratona Daniele Meucci. I personali di entrambi sono lontanissimi dagli specialisti africani e l’umidità di Rio non aiuta di certo i corridori europei, ma la gara olimpica è un unicum – chi ha dimenticato l’assolo di Stefano Baldini ad Atene nel 2004? – e, se si dovesse viaggiare su tempi alti, Meucci potrebbe sfruttare le sue doti in accelerazione nel finale. In campo femminile, vale la pena buttare un occhio a Valeria Straneo che nel 2013 raggiunse il secondo posto mondiale, ma le sue potenzialità cozzano con diversi problemi fisici affrontati nel corso della preparazione.
Neanche l’esclusione dei russi ha portato vantaggi agli italiani. L’unica azzurra destinata a giovarne, sicuramente in termini di piazzamento e forse di medaglia, è Anna Eleonora Giorgi. Nella 20 km di marcia, la lombarda dovrà confermare i progressi mostrati negli ultimi due anni durante i quali ha messo in fila diverse prestazioni cronometriche di livello. La vera insidia, oltre alle cinesi, resta la fluidità della sua andatura che l’ha spesso portata alla squalifica. Sulle strade di Rio avrà accanto Elisa Rigaudo, bronzo a Pechino 2008, e Antonella Palmisano: entrambe puntano a un buon risultato, ma per il podio devono sperare nella giornata perfetta e in débâcle altrui.
E gli altri 31 azzurri impegnati tra pista e pedane? Exploit da medaglia appaiono impossibili per chiunque. Le uniche fiammelle di speranza – ma per un buon posto in finale – sono quelle di Libania Grenot, che a Pechino e Londra si fermò in semifinale, e Alessia Trost nel salto in alto. L’italo-cubana è però reduce dall’oro europeo con record italiano nei 400 metri, bis di quello conquistato nel 2014, e appare in grande forma. Tutte da verificare invece le condizioni della 23enne di Pordenone, ferma per quasi sei mesi da agosto a febbraio. In tutte le rassegne internazionali a cui ha partecipato è sempre arrivata in finale: la conferma di questa tradizione sarebbe già un ottimo risultato.