Happy Birthday, mister President. Auguri, ma non da qualcuno che esce da una torta gigante, o che mezzo ubriaco le canta la filastrocca con la voce roca e i seni in bella mostra. No, gli auguri arrivano da chi festeggiò la sua vittoria del 4 novembre 2008 alle tre del mattino scongelando, e mangiando, un piatto di tortellini. La folla incredula la acclamava e piangeva. La regia di non si sa bene quale rete tv mandava in loop le signore nere di mezza età, qualcuna con treccina nei capelli alla Whoopi Goldberg, che scuotevano la testa modello “non ci posso credere”. Michelle indossava un abitino scuro con petto e pancia rosso fuoco. L’ha liquidata con charme assieme a Malia e Sasha su uno sfondo scuro color petrolio dandole il bacetto sfiorato sulle labbra.
Abbiamo subito imparato ad adorarla così mister president: noi lì a pendere dalle sue parole – dodici-quattordici al massimo per enunciato poi la pausetta di un secondo il tutto ripetuto all’infinito – e lei ad ammorbarci con il senso di responsabilità, con l’idea di futuro e di progresso. Sì, sì, poi ci penserà lei, presidente, a sistemare tutto quanto, lassù nello studio ovale. Noi siamo solo, e saremo sempre, spettatori della sua ascesa, del suo successo politico, della sua figura simbolica mondiale. Lei era la scheggia impazzita ma piuttosto tollerata dall’establishment democratico proprio nel 2008 dopo otto anni di purga repubblicana, il cenerentolo caffellatte, l’antipresidente. Otto anni fa lei aveva 47 anni. Pareva un ragazzino. Con quel suo bel corpicione lungo lungo, quelle mani fraterne che toccano, sfiorano, stringono, accolgono. Non sappiamo se i comunicatori della sua immagine pubblica avessero studiato e lavorato perfino su questo. A noi è sempre parso tutto naturale. Roba di Barack. Il sorrisone largo e ampio, i neuroni specchio a mille che ti sciolgono di fronte al “sorriso Durban’s” che paradossalmente nel nostro paese, l’Italia, è stato mostrato solo da Silvio Berlusconi. Pensateci. Tutte boccucce stitiche quelli dei politici nostrani: Renzi, Prodi, Andreotti. Tutti democristiani nell’anima, tutti compunti, mai una gioia. Invece presidente, lei li ha sbaragliati tutti. E per tutti intendo i suoi predecessori. Democratici o repubblicani che fossero. Nel suo evo alla Casa Bianca si sono azzerati i pettegolezzi. Ma come, un uomo nel pieno della sua maturità anagrafica non ha una stagista con vestito blu macchiato di sperma nel freezer? Non ha qualche conto in sospeso con attrici e boss della mafia? Difetti evidenti? Vizietti? Sì, d’accordo le sigarette, ma quando mai l’abbiamo vista fumare?
Mister president oggi che compie 55 anni e che suo malgrado, e stavolta non ci possiamo credere nemmeno noi, si avvia verso una pensione, che lei avrà ma anche se fosse non sarà mai dispregiativamente d’ “oro”, è bello ricordarla con quel suo portamento e rigore dove si mescolano la sicurezza dell’uomo e la baldanza del ragazzo. Dove si fa tabula rasa dell’idea di età e si vive nel magico mondo dell’eternità. Nessuno ricorda Elvis strafatto e con la panza. Il flash della memoria lo dà con il ciuffo che canta “You ain’t nothin’ but a hound dog”.
Lei, mr.president, di cani ha preferito avere, anche se i cani cadono dal cielo si sa, Bo e Sunny, due “water dog portoghesi”. Buffi all’apparenza ma tosti e decisi di carattere. Ad ognuno i suoi cani. E le sue gatte da pelare. Il biglietto d’auguri è uno spunto felice, una dose di dopamina, non un cahier de doleances. Mica le auguro “felici 55 anni” e le rompo le scatole sull’Obamacare o sul non ritiro delle truppe dall’Iraq mentre ha mandato i top gun a bombardare la Libia. A rimangiarsi slogan rivoluzionari ci pensa Bernie Sanders. Per lei solo tanto affetto, e il sogno un giorno di incontrarla sugli spalti di un match di basket (ma salta ancora così tanto, mr president, in mezzo all’area per fare canestro?) stringerle la manona, scambiarsi un sorriso e dirsi “fratello”.